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Berlusconi disegna l'identikit: esecutivo politico e anti tasse

Il leader del Pdl è deciso a imporre al Pd gli otto punti del suo programma. In caso contrario è pronto alle elezioni, confortato dagli ultimi sondaggi

Berlusconi disegna l'identikit: esecutivo politico e anti tasse

Berlusconi esulta per aver incassato un capo dello Stato tanto non ostile da cedergli il posto nel suo coretto. «Meno male che Giorgio c'è», dice subito dopo aver applaudito in Aula ai tanti schiaffi che Napolitano ha assestato alla sinistra. Le larghe intese sembrano avere la strada spianata e alla selva di taccuini nel cortile di Montecitorio il Cavaliere giura: «Io sono un ottimista di natura» a chi gli domanda della nascita del nuovo governo. Gongola a quel riferimento a «decenni di contrapposizione faziosa e aggressiva» nel quale Berlusconi legge i tanti assalti da lui subiti da parte della sinistra più illiberale. Bene così, quindi.

Anche se il Cavaliere, oltre alla soddisfazione, fa pure sfoggio di realismo. Le larghe intese sono auspicabili, certo; ma non a ogni costo. E le condizioni alle quali far nascere l'esecutivo sono ben chiare. Si parta dai sei/otto punti che il Pdl ha ripetuto fino alla nausea in campagna elettorale. Insomma, Berlusconi non ha alcuna intenzione di abbassare l'asticella per arrivare a un accordo qualsiasi col Pd. E il punto è tutto lì. Il nuovo governo nasca in fretta ma faccia le cose che servono al Paese. E tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare. O meglio: il mare di problemi che ha il Pd. Il Cavaliere lo dice chiaro: «Spero che dopo quello che è successo in questi giorni, il Pd possa trovare la concordia per arrivare compatto al tavolo delle trattative». Ma siamo, appunto, nel campo degli auspici. E se così non fosse? Berlusconi non si fascerà la testa, anzi. La strategia non dichiarata è la seguente: fare di tutto perché nasca un esecutivo senza cedere di un millimetro sulle cose da fare e sulla natura dello stesso. Il governo sia politico, senza data di scadenza, con una forte impronta liberale e liberista. Qualora il Pd non dovesse starci, sarà da addebitare alla sinistra la scelta irresponsabile di non aver voluto dare al Paese un governo. A quel punto sarà voto. Le elezioni rimangono nella testa del Cavaliere sebbene Napolitano sia stato chiaro, parlando di ingovernabilità, con quel «Non è per prendere atto di questo che ho accolto l'invito a prestare di nuovo giuramento». Traduzione: il capo dello Stato farà di tutto per evitare lo scioglimento delle Camere.

Un'opzione, questa, che chiaramente tenta Berlusconi, consapevole che i sondaggi dicono «bello». A fronte del tracollo del Pd (-6,65% in una decina di giorni), la coalizione di centrodestra sorride: tutti col segno «più», fino ad arrivare al 34,85 complessivo, con il Pdl al 27,1% (+1,5% nel giro di una settimana). Insomma, il jolly del voto è una delle carte in mano al Cavaliere. Ma bisognerà giocare bene e fare in modo che sia il Pd a costringerlo a buttarla sul tavolo. Con il placet di un refrattario Napolitano. Una partita complessa da discutere assieme al suo entourage più stretto, convocato nella tarda serata di ieri. Tra i suoi gli umori sono multicolor. Qualcuno sottolinea i rischi di impantanarsi in un governo con il Pd che necessariamente butterà sabbia nell'ingranaggio e che annacquerà le ricette pidielline. Non solo: all'orizzonte c'è il rischio di dover prendere decisioni tanto impopolari da erodere i consensi che stanno lievitando. Altri si sono invece già messi nella scia quirinalizia di un governo senza se e senza ma. Il momento è cruciale ma non è detto che il Cavaliere, oggi, prenda il volo per gli Stati Uniti. Destinazione Dallas, Texas, per un faccia a faccia di qualche giorno con il suo amico George W. Bush.

Sono due match ball nel giro di pochi giorni quelli che Silvio Berlusconi e i suoi legali hanno a disposizione per evitare che, passata la lunga pausa elettorale, chiusa la travagliata parentesi della scelta del nuovo capo dello Stato, insomma restituito il Cavaliere alla relativa normalità della vita politica, i processi a suo carico mettano di nuovo l'acceleratore e facciano bruscamente piombare su di lui le loro conseguenze. Di possibilità concrete di schivare pesanti condanne, se i processi per il caso Ruby e i diritti tv andassero alla sentenza, Berlusconi sa di averne piuttosto poche. Ma prima di arrendersi all'ineluttabile intende giocarsi fino in fondo le due chance che potrebbero cambiare bruscamente il fosco scenario processuale che lo attende. Entrambe le chance si giocano a Roma, davanti a giudici lontani e diversi da quelli di Milano che il Cavaliere considera tutti suoi nemici giurati e dichiarati.

Il primo match ball è quello di quest'oggi davanti alla Corte Costituzionale, chiamata a decidere sul conflitto d'attribuzioni tra poteri dello Stato sollevato dalla presidenza del Consiglio - quando a Palazzo Chigi c'era lo stesso Berlusconi - contro l'ordinanza del tribunale di Milano che nel marzo 2010 rifiutò di rinviare un'udienza del processo per i diritti tv nonostante l'imputato fosse impegnato in una riunione del Consiglio dei ministri. Se la Consulta desse ragione al governo, annullando quell'udienza si annullerebbe anche la sentenza con cui pochi mesi dopo a Berlusconi vennero inflitti quattro anni di carcere e cinque anni di interdizione dai pubblici uffici.

Secondo match ball il 6 maggio, quando la Cassazione deciderà se togliere da Milano i processi in corso: ultima chance per impedire che il 13 maggio Ilda Boccassini concluda la sua requisitoria per il caso Ruby.

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