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Berlusconi frena i falchi: il governo durerà due anni

Il Cavaliere detta la linea ai suoi: "Ridurre al minimo gli attriti, anche nel partito". Si tratta sulla presidenza delle Commissioni: pesa il veto Pd su Palma alla Giustizia

Berlusconi frena i falchi: il governo durerà due anni

Predica «prudenza» e «cautela» il Cavaliere. Sempre più deciso – questo dice nelle sue conversazioni private di questi giorni - a fare «il possibile affinché il governo Letta abbia lunga vita». Insomma, bisogna «ridurre al minimo gli attriti», sia quelli interni alla maggioranza che quelli dentro al Pdl dove le acque sono piuttosto agitate.

Un Berlusconi che lascia dunque volare le colombe e tiene invece a bada i cosiddetti falchi, convinto che non sia questo il momento di alzare il tiro se non sulla Convenzione per le riforme e solo per mettere in chiaro che verso un'eventuale presidenza del leader del Pdl non possono esserci veti. D'altra parte, se davvero il governo Letta andrà avanti per due anni quel che il Cavaliere vuol portare a casa non è solo la fine della conventio ad excludendum ma pure quella legittimazione che non tutti nel centrosinistra gli riconoscono. Perché – è il senso dei suoi ragionamenti – se davvero fra 18 mesi si approvassero le riforme «sarebbe soprattutto grazie al fatto che dopo due mesi di attesa ho comunque sostenuto un governo a guida Pd invece di chiedere di tornare alle urne con i sondaggi che mi davano in netto vantaggio». Berlusconi, insomma, non potrebbe non essere considerato uno dei padri della nuova Carta, al netto di un'eventuale presidenza della Convenzione. Una cosa, si vocifera in diversi ambienti, che potrebbe anche aprirgli le porte della nomina a senatore a vita (magari in tandem con Romano Prodi).

Uno scenario che il Cavaliere ha ben chiaro e che lo porta a fare il possibile per smussare le tensioni. Per questo il leader del Pdl non pare aver troppo gradito né le lamentele di chi è rimasto fuori dalle nomine di governo (ieri, intervistata da Repubblica, Laura Ravetto ha puntato il dito contro Angelino Alfano reo di «aver fatto fuori tutti i berlusconiani») né i mal di pancia di chi – come Renato Brunetta - sostiene che il segretario del Pdl abbia ormai in mano il partito. In verità, più che non aver gradito pare che Berlusconi se ne sia piuttosto disinteressato, convinto che la priorità sia un'altra e anche un po' stufo delle beghe interne. Il Cavaliere, si sa, è uno che non dice di «no» a nessuno e così le lamentele le ha ascoltate quasi tutte facendosi negare al telefono solo in poche occasioni. Ma tra l'ascoltare e il fare c'è una bella differenza e pare proprio che l'ex premier non si sia affatto stracciato le vesti per come Alfano ha gestito la partita. Anzi.

E già, perché in ballo non c'è solo un governo che possa portare a casa dei risultati (vedi la già annunciata sospensione dell'Imu di giugno) e magari anche le riforme istituzionali. Negli scenari futuribili, infatti, c'è pure il ritorno al voto nel 2015 con la nuova legge elettorale. A quel punto, se Giorgio Napolitano considerasse concluso il suo lavoro e si dimettesse, il nuovo Parlamento voterebbe anche un nuovo presidente della Repubblica e, anche a seconda di quale sarà il risultato che uscirà dalle urne, chissà che il Cavaliere non possa essere in corsa.

Tutte considerazioni che non fanno tralasciare a Berlusconi i soliti fastidiosi dossier. Quelli processuali in primo luogo visto che – a parte un'intervista registrata ieri ad Arcore con il Tg4 – sembra che l'ex premier abbia rimesso la testa sui suoi processi (con Franco Coppi che si affiancherà agli storici difensori Niccolò Ghedini e Piero Longo). E la trattativa sulle presidenze delle commissioni parlamentari. Che in una lunga riunione ieri si è arenata sul veto del Pd su Nitto Palma come presidente della commissione Giustizia del Senato.

Si ricomincerà a trattare domani mattina.

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