È metà pomeriggio quando Silvio Berlusconi inizia seriamente a tentennare. A Palazzo Grazioli, ormai da ore, è riunito lo stato maggiore del Pdl e i cosiddetti «falchi» sono sul piede di guerra, convinti che il governo di larghe intese non farà che danneggiare un Pdl in continua crescita nei sondaggi e certi che la soluzione migliore sia quella del ritorno alle urne. Infilarsi in un esecutivo a guida Enrico Letta - è il senso dei ragionamenti - equivarrebbe a legarsi le mani e significherebbe tornare a giocare di rimessa.
Il Cavaliere ascolta tutti e ben comprende le ragioni di chi teorizza il voto, una soluzione che anche a lui - che i sondaggi li sfoglia soddisfatto da settimane - certo non dispiacerebbe affatto. Una strada su cui incombe però l'ipotesi che Giorgio Napolitano possa dimettersi. Se il capo dello Stato decidesse infatti non di sciogliere le Camere ma di rimettere il mandato - si ragiona durante il lungo pranzo a via del Plebiscito - a quel punto «l'arrivo di Romano Prodi o Stefano Rodotà al Quirinale non sarebbe affatto impossibile». Sul Colle, insomma, «ci troveremmo ad avere un nemico giurato».
L'ipotesi elezioni anticipate, spiega un Berlusconi che si muove tra alti e bassi, non è però percorribile perché «abbiamo preso un impegno con Napolitano e dobbiamo onorarlo». Nonostante qualche titubanza, insomma, l'ex premier vuole davvero cercare di chiudere la partita, tanto che a tarda sera manda Angelino Alfano alla Camera ad incontrare Enrico Letta. «Se si trova la quadra vengo anche io a suggellare l'intesa», dice il Cavaliere al segretario del Pdl mentre lascia Palazzo Grazioli. Le buone intenzioni, insomma, ci sono tutte.
Il problema, insomma, sono le condizioni. Perché, spiega Daniela Santanché, «noi siamo responsabili ma non devono esserci né veti né pregiudizi, sia sui nomi che sul programma». E qui sta il punto. Perché Berlusconi sa bene che l'unico modo per evitare di dilapidare l'enorme vantaggio incassato in questi due mesi è portare a casa la restituzione dell'Imu. Solo in questo caso - dice il Cavaliere ai suoi - il nostro elettorato potrebbe «perdonarci» il sostegno ad un governo guidato dal vicesegretario del Pd. Ecco perché il tema fiscale resta al centro del dibattito. Per alzare l'asticella della trattativa, certo. Ma anche perché è l'unico terreno su cui il Pdl può sperare di limitare una perdita di consensi che in caso di sostegno a un governo di larghe intese sarebbe scontata.
È per questa ragione che Berlusconi non è intenzionato a cedere terreno su nessun fronte. «Manterrò l'impegno con Napolitano», dice durante il vertice di Palazzo Grazioli. Ma solo se Enrico Letta prenderà impegni precisi sull'Imu e se il Pdl avrà pari dignità. Il Cavaliere, insomma, dice «no» ai veti di questi giorni su alcuni possibili ministri del Pdl considerati «impresentabili». «Noi sosteniamo un esecutivo guidato dal Pd - dice - ed è chiaro che non si possono permettere di decidere loro i nostri ministri». Senza contare che Berlusconi vuole avere un ruolo anche nell'indicazione di ministeri pesanti come Economia, Giustizia e Interno. Insomma, «se devo appoggiare questo governo lo farò alle mie condizioni».
Questo dice Alfano a Letta nell'incontro serale che hanno alla Camera, presente anche Gianni Letta. E questo si dicono Berlusconi e il premier incaricato durante una telefonata a tarda sera, con il Cavaliere a insistere sulla necessità del ricambio generazionale nella nuova squadra di governo. Una bocciatura di fatto all'ipotesi di un Massimo D'Alema ministro degli Esteri, circolata ieri con una certa insistenza. Ma anche una sorta di «disarmo bilaterale», visto che il principio del ricambio generazionale non solo farebbe saltare D'Alema ma pure nomi come quelli di Renato Brunetta o Renato Schifani, circolati in questi giorni e poco graditi al Pd. Il patto per il ricambio generazionale, insomma, potrebbe essere la soluzione della partita, peraltro caldeggiata anche da Napolitano.
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