N on c'è il Senato in cima ai pensieri di Berlusconi. Ma, come spesso accade da quando è sceso in campo, la magistratura. Lui, il Cavaliere, agli assalti delle procure c'è abituato, c'ha fatto il callo. Ma questa volta nel mirino c'è il figlio Pier Silvio e forse la persona a lui più vicina, Fedele Confalonieri. L'ex premier è preoccupato, teso e dispiaciuto perché sta arrivando al traguardo il processo Mediatrade: per la sentenza è questione di ore e ad Arcore c'è pessimismo. Per il vicepresidente di Mediaset, Pier Silvio, i pm di Milano Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro hanno chiesto una condanna a 3 anni e 2 mesi di reclusione; mentre per Fedele Confalonieri, presidente di Mediaset e accusato anche lui di frode fiscale, i pm hanno chiesto 3 anni e 4 mesi. In questo procedimento il Cavaliere era indagato ma è stato prosciolto in fase di udienza preliminare dal gup di Milano. Il verdetto potrebbe arrivare già oggi o domani e il fatto che la sentenza verrà partorita dal tribunale di Milano lascia presagire il peggio. Ma Berlusconi è sotto schiaffo: nulla può dire e nulla dirà sul caso, pena la revoca dei servizi sociali. Un bavaglio che pesa come un macigno ma che è impossibilitato a strapparsi dalla bocca.
Cerca serenità tra le mura domestiche e tiene i contatti con i big del partito che gli esprimono solidarietà e lo ragguagliano sui movimenti degli azzurri. Fase concitata, questa, visto che i malpancisti nei confronti del Senato renziano si fanno sentire. Berlusconi comprende bene le ragioni di chi non vuole votare le riforme targate Boschi-Renzi e arriva a condividerne le obiezioni. Nei giorni scorsi ne ha parlato anche con Augusto Minzolini, il senatore che forse s'è più esposto sulla linea del «no», e non è detto che lo rifarà nelle prossime ore. Assieme a Minzolini, sebbene la stampa riporti numeri che sfiorano le 30/40 unità, i «frondisti» si sarebbero ridotti a una decina circa. Tutti parlamentari fedelissimi di Berlusconi e che direbbero di «no» non «contro» il Cavaliere ma «contro» una riforma a loro avviso troppo pasticciata. Berlusconi ha intenzione di chiamarli uno a uno per convincerli a ricompattarsi. Ergo sembra ormai tramontata l'ipotesi di un nuovo summit tra parlamentari azzurri, inizialmente in agenda per domani: troppo elevato il rischio che gli animi si surriscaldino e che mediaticamente passi l'immagine di un partito frantumato.
Qualcuno lo rassicura: «Presidente, decidi tu. Il leader sei tu e noi ci allineiamo. Stai tranquillo che saremo uniti». E lui, il Cavaliere, cercherà di convincere i malpancisti che «sì, è vero: la riforma non è il massimo. Ma occorre votarla compatti. Renzi ha bisogno di noi e noi di lui. I patti vanno rispettati: lo abbiamo sempre fatto e continueremo a farlo». Questo dirà ai suoi più refrattari. Avanti con la linea della responsabilità che ha un suo perché: evitare che Renzi - che ha bisogno di incassare la luce verde sulle riforme perché su questo ha ottenuto un'apertura di credito dall'Europa - vada ad abbracciare i pentastellati. A Berlusconi fa più paura Grillo di Renzi. E se quest'ultimo dovesse scaricare il Cavaliere, per Forza Italia sarebbero guai.
Meglio restare al centro della scena politica, portare a casa l'Italicum senza le modifiche alle soglie di sbarramento, trattare a oltranza per strappare qualche ulteriore modifica al testo del nuovo Senato e mettere la firma in calce al provvedimento che disegna la Terza Repubblica.
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