Nessun rinvio, nessuna marcia indietro, nessun tentativo di individuare scorciatoie. Chi ha parlato con Silvio Berlusconi alla vigilia del «D-Day», ovvero del giorno che dovrà decidere la sua sorte giudiziaria, racconta di averlo trovato «lucido», «sobrio» nelle parole e tutt'altro che incline ai toni esasperati, ma anche deciso a non piegare il proprio orgoglio e la propria storia politica a una verità giudiziaria che, a suo dire, non ha nessuna attinenza con i fatti.
La mattinata il leader del Pdl la trascorre con i suoi avvocati, una frequentazione per lui ormai consueta e obbligata da anni e sulla quale, raccontano, non smette di scherzare, nonostante tutto. Nel tardo pomeriggio, poi, Berlusconi atterra a Roma per dirigersi verso Palazzo Grazioli dove però non convoca alcun ufficio politico o riunione di fedelissimi ma si ritrova nuovamente a consultare le carte giudiziarie. Una scelta, quella di essere nella Capitale per il verdetto, dettata dalla volontà di rivendicare la sua identità e il suo ruolo di leader, restando vicino alle istituzioni ma anche ai gruppi parlamentari con i quali dovrà concertare la reazione alla sentenza, pronto dopo settimane di cautela a tornare in trincea, qualora fosse necessario.
Nella giornata di ieri umori e previsioni sono salite inevitabilmente sull'ottovolante, tra un cauto ottimismo mattutino e un pessimismo pomeridiano che qualcuno definisce «scaramantico». Ma al di là degli umori, Berlusconi continua ad augurarsi che prevalga «il senso profondo dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura e possa arrivare una decisione secondo diritto». E non nasconde di non gradire molto il possibile, paventato rinvio a domani visto che si è ormai stufato di questo stillicidio e vuole uscire da questo limbo snervante. La lunga attesa, infatti, è diventata difficile da sopportare, nonostante Berlusconi continui a insistere su una linea soft, senza dichiarazioni urlate o convocazioni di gabinetti di guerra (i gruppi parlamentari, inizialmente, avrebbero dovuto riunirsi ieri alle 13 ma l'assemblea è stata «sconvocata» in attesa della sentenza per non caricare il clima di ulteriore tensione).
Berlusconi continua a leggere sui giornali ma anche ad ascoltare dagli uomini a lui vicini letture e previsioni sulle possibili implicazioni politiche della sentenza. Per il momento si rifiuta di soffiare sul fuoco delle fibrillazioni interne alla maggioranza. E si limita a incassare dal suo partito una delega in bianco, un sostegno incondizionato assicurato da parte di tutti - sia pure con «gradazioni» differenti - qualunque decisione Berlusconi chiederà di adottare. Nessuno, peraltro, dentro il Pdl si sente di escludere che l'intreccio di sentimenti e di rabbia del popolo azzurro possa far scattare il cortocircuito.
Il «cosa fare dopo», però, non è in questo momento argomento per dichiarazioni pubbliche ma soltanto di riflessioni private sulla possibile implosione del Pd. Uno scenario che viene ritenuto tanto più probabile qualora da Palazzo Grazioli arrivasse l'indicazione di continuare a sostenere il governo e si dovesse procedere a un voto nelle aule parlamentari su una eventuale decadenza di Berlusconi da senatore. In questo senso non è certo stata gradita l'uscita di Laura Boldrini che ha derubricato a singolo caso giudiziario il verdetto della Cassazione. «Una provocazione inutile» per dirla con Mariastella Gelmini che certo non contribuisce a svelenire il clima in un passaggio così delicato. E che Renato Brunetta respinge al mittente con queste parole.
«Se vogliamo essere seri non possiamo nasconderci: un procedimento penale può essere fisiologico. Due procedimenti penali possono segnalare una patologia della persona. Tutti questi procedimenti segnalano una patologia del sistema».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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