Berlusconi suona la carica, come sempre accade quando si sente in campagna elettorale. Le prove generali le fa in Sardegna, per tirare la volata a Ugo Cappellacci, governatore uscente e ricandidato per la tornata del 16 febbraio. Un'ora e mezza di comizio dove attacca, si difende, parla a Renzi e individua le prossime battaglie: riforma del fisco, dell'apparato burocratico, della giustizia. Non senza una stoccata alla stampa, rea di scrivere fesserie su Forza Italia. E proprio sul partito cerca di rassicurare tutti:
«Non vogliamo rottamare nessuno io e Toti», giura l'ex premier all'esordio del suo discorso.
Sebbene le elezioni non sembrino alle porte, Berlusconi parla come se lo fossero. E riflette amaro: «Dal 1948 a oggi non siamo mai stati capaci di votare». Il vero male è stato quello di disperdere il voto, segmentando il fronte moderato per dare acqua ai piccoli partiti. Il faro resta il bipolarismo mentre i piccoli partiti hanno fatto da freno alla modernizzazione del Paese. Lo dice chiaro: «L'Italia non ha mai potuto fare le riforma indispensabili per colpa dei piccoli partiti che fanno coincidere i loro interessi con quelli dei loro leader». Nello specifico: «Non abbiamo mai potuto fare riforma del lavoro, della burocrazia e del fisco». Ma ce n'e un'altra che «grida vendetta per non essere stata fatta: è la riforma della giustizia». Quindi lamenta: «Oggi il presidente del Consiglio non ha poteri; non può usare il decreto legge perché interviene sempre il capo dello Stato». Per dar forza al suo ragionamento rievoca i celebri «sorrisini della Merkel e di Sarkozy. Stesi un decreto legge per accogliere le raccomandazioni della Bce - ricorda quanto accadde due anni fa - ma il capo dello Stato mi impedì l'utilizzo del decreto legge. Quindi andai a Cannes senza poter garantire quanto avevo in animo di fare». Quindi bisogna cambiare la Costituzione. Facile a dirsi, meno a farsi. La strada da percorrere è una sola: «È necessario che un solo partito conquisti la maggioranza».
Berlusconi rinsalda l'asse con il leader del Pd, sperando che riesca a contenere i dissidenti interni. Spiega: «Ora con Renzi abbiamo la possibilità di interlocuzione. E gli faccio i migliori auguri affinché possa avere la maggioranza nel suo partito». Il Cavaliere benedice le larghe intese sulla legge elettorale anche se la mediazione ha comportato sacrifici. Specie sul doppio turno e sul premio di maggioranza. Un'altra staffilata al Colle: «La legge è andata in commissione ma i piccoli partiti si sono scatenati e hanno portato dal 35 al 37 per cento la soglia per ottenere il premio di maggioranza, con l'aiuto del capo dello Stato». A cui in serata non lesina un graffio: «Oggi non voterei più per Napolitano al Colle». Il che rende più difficile la vittoria che dovrà essere ancor più netta. Ma il Cavaliere ci crede e suona la carica: «Sono convinto che riusciremo a vincere superando il 37 per cento». Come? «Convincendo il bacino di 24 milioni di italiani che non sanno cosa votare o che hanno votato Grillo». Per farlo, un ruolo fondamentale lo dovranno avere i club: «Dobbiamo arrivare a 12mila club e ogni club deve intercettare chi non vota o chi vota il Movimento 5 stelle. È facile saperlo: nei piccoli comuni si sa tutto; oppure basta vedere se uno legge Repubblica o il Giornale...». E un'ultima considerazione sui piccoli posizionati al centro: «Non li ho mai capiti. Nessuno ha mai preso più del 5 per cento: dal Pli, ai Repubblicani, passando per l'Udc». Un'ora e mezza di comizio prima di andare a mangiare un boccone all'hotel T che sorge, ironia della sorte, in via dei Giudicati. Qui, pranzo con i parlamentari sardi tra cui Cicu, Vella, Floris ma anche ex come Testoni.
Berlusconi saluta tutti, fa il giro dei tavoli, stringe la mano dei tanti industriali accorsi. Sulle questioni di partito glissa: «Ho bisogno di serenità. Ma con i club, vedrete, ce la possiamo fare». Il sogno è quello di bissare il miracolo del '94. Che l'ex premier vede a portata di mano.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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