Giornata difficile ieri in Borsa per Telecom. Il titolo ha perso quasi il 5%. Franco Bernabè, ieri al Senato, ha detto di aver appreso il passaggio della quota di maggioranza di Telco a Telefonica «dai giornali e dalla lettura dei comunicati stampa». Poi ha specificato, molto chiaramente, che la società ha bisogno di un aumento di capitale per evitare il downgrade (declassamento) del debito. Certo le cose non stanno proprio così. Il presidente esecutivo era ben cosciente, ormai da mesi, che il cerchio si stava chiudendo.
E da tempo si sta muovendo per trovare nuovi investitori per Telecom. Quasi un punto di onore per un manager che, nell'ormai lontano 1999, voleva portare la società nell'orbita di Deutsche Telekom. Lontano, dunque, dalla cordata dei «capitani coraggiosi» guidati da Roberto Colaninno che lasciarono una Telecom Italia fortemente indebitata. Certo è che Bernabè ha saputo aspettare, e nel 2007 è tornato saldamente sul ponte di comando dell'ex-monopolista che, nel frattempo, aveva visto ridursi utile e fatturato, e aumentare il debito.
Ma anche la seconda opportunità, in Telecom, a Bernabè non ha portato fortuna. Complice la crisi e una contrazione di prezzi mai vista, per effetto della concorrenza e delle manovra delle authority europee e nazionali, Telecom è oggi una società con i piedi di argilla e margini in calo. E con un azionariato composto da banche e istituti di credito che non hanno mai voluto fare manovre sul capitale, approfittando della prima finestra disponibile per uscire dal patto di sindacato di Telco.
In realtà, Bernabè qualche investitore l'aveva anche trovato: il finanziere egiziano Naguib Sawiris e i cinesi di Hutchison Whampoa. Ma gli azionisti Telco non li hanno mai presi in considerazione, anche perché il 46% della holding era già in mano agli spagnoli di Telefonica che, evidentemente, hanno saputo attendere il momento giusto per farsi avanti. Ma c'è ancora qualcuno che spera in un arrembaggio dell'ultimo minuto.
Ieri, all'audizione al Senato, che continuerà domani, Bernabè ha detto che «c'è interesse per la società». Quindi il cda Telecom, previsto il 3 ottobre prossimo, si prospetta molto movimentato. Bernabè ha spiegato che, per evitare il declassamento delle agenzie di rating, oltre all'aumento di capitale, c'è anche la possibilità di vendere gli asset in Sud America. Ma ha detto anche che la mossa darebbe il colpo di grazia alla società in quanto sono le uniche attività in crescita. Il prossimo cda vedrà, dunque, due fronti contrapposti: da un lato Bernabè con i consiglieri indipendenti e i piccoli azionisti che sono contrari all'operazione, e dall'altra i soci Telco che hanno scelto Telefonica come nuovo socio di maggioranza.
Per Asati, l'associazione dei piccoli azionisti «l'operazione di Telefonica in Telco è ostile agli interessi di Telecom. Non porta alcun capitale nella società, per cui non si comprende su quali presupposti si possa presumere un beneficio. Inoltre, per la risoluzione dei problemi antitrust, in cui incorre Telefonica in Brasile e Argentina, la scelta cadrà ovviamente su dismissioni e spezzatino della società, mettendo a rischio 100mila posti di lavoro in Italia».
Dello stesso avviso anche il consigliere indipendente Luigi Zingales secondo cui «Telecom e i suoi piccoli azionisti sono vittime delle decisioni altrui». Quanto al Brasile, secondo il ministro delle Comunicazioni, Paulo Bernardo, Telefonica non potrà mantenere il controllo di Vivo e Tim che sono, rispettivamente, primo e secondo operatore mobile del Paese. Il rischio di una cessione di Tim Brasil, secondo la stampa brasiliana, sarebbe quello di veder svalutata l'azienda, il cui valore di mercato è stimato intorno ai 10 miliardi di euro.
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