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Bersani apparecchia per Renzi e mette sul piatto 17 seggi sicuri

L'ex rottamando Pier Luigi e l'ex rottamatore Matteo siglano la pace al ristorante. Il segretario chiede garanzie al rivale e gli affida le chiavi della campagna elettorale

Bersani apparecchia per Renzi e mette sul piatto 17 seggi sicuri

Tagliata alla Robespierre, carpaccio di chianina, brunello e grappa barricata. La «pax bersaniana» si consuma al tavolo dell'ultima sala del ristorante «Grano», in piazza Rondanini, a metà strada tra Montecitorio e Palazzo Madama. Ma in realtà s'incontrano gli eroi di due mondi, l'ex rottamando Pier Luigi Bersani e l'ex rottamatore Matteo Renzi.
Vecchie glorie, in fondo. Reduci della battaglia campale che ha resuscitato un partito in fin di vita, tanto da prospettare loro un futuro roseo: futuro premier e futuro ministro. Un piatto succulento da servire agli affamati cronisti, una bella photo opportunity. Ma anche l'ostentazione dell'unità del partito davanti agli affondi crescenti di Monti, che serve a sgombrare il campo dagli equivoci e dalle freddezze intervenute dopo le primarie. Soprattutto dai sospetti che i «renziani», finora trascurati nella composizione delle liste, potessero remare contro. Fare come il professor Ichino, e passare armi e bagagli verso le isole dorate (almeno nei dépliant del Prof) del cosiddetto «arcipelago Monti». Ma il sindaco di Firenze mostra la faccia feroce e fa trapelare la propria irritazione verso i fuoriusciti. «È stato molto convinto nel dire a Bersani quanto siano nel torto». All'uscita, è ancora più esplicito e diretto: «È normale che si possa restare dentro un partito quando finiscono le primarie, anche se si perde. Vedo troppa gente abituata a scappare con il pallone... Io non sono fatto così».
Il sindaco resta, e per il momento pare voglia restare anche sindaco (del governo non v'è certezza). Parteciperà alla campagna elettorale attivamente, come gli ha chiesto Bersani, concentrandosi sulle partecipazioni televisive, il suo forte, e le zone nelle quali il Pd ha disperato bisogno di voti per ottenere il premio elettorale (i collegi senatoriali di Lombardia e Veneto). Si parla di candidature, naturalmente, anche se i due giocano a negare, e Renzi avrebbe ottenuto i 16-17 posti nelle liste bloccate per «quel po' di amici» cui l'aveva promesso durante la campagna per le primarie. Che si aggiungeranno alla cinquantina di vincitori delle primarie di area.

L'appuntamento era stato via via rinviato, raccontano, prima per i reciproci malumori (Bersani contrariato per la querelle sulle regole negli ultimi giorni della sfida, Renzi per il silenzio del segretario dopo la sfida). Poi l'accelerazione ai primi colpi arrivati da Monti, che puntava molto sugli smottamenti provocati nel partito del Nazareno, per ora contenuti soltanto all'iniziativa dell'onorevole D'Ubaldo (che ha fondato i Popolari democratici per Monti). Gli stessi ex del Ppi, come Beppe Fioroni, sia pure in sofferenza nell'assegnazione dei posti in lista, ancora ieri confermavano il loro hic manebimus optime.
Il Prof è stato uno dei capitoli più delicati trattati nel pranzo e per Bersani era essenziale ottenere le garanzie di lealtà da parte di Renzi. Anche perché nello schema del segretario la coalizione del centrosinistra deve mantenersi «pluralista» per poter conservare l'equilibrio di «sintesi» rappresentato da se stesso. Occorre perciò una «destra» ben articolata e visibile che sappia bilanciare l'ala sinistra di Fassina e soprattutto Vendola, altrimenti troppo esposta agli attacchi di Monti. Tanto è vero che ieri, al termine di una giornata contrassegnata dalla pretesa montiana di «silenziare» la sinistra, Vendola è tornato a chiedere su Twitter di «azzerare» del tutto l'agenda Monti. Presa di posizione che vanifica gli sforzi bersaniani di far passare la sua agenda come quella montiana con in più l'equità sociale.
Dopo due ore di pranzo riservato, dal quale sono stati esclusi persino gli uomini dello staff (segno di prudentissima gestione delle notizie da far arrivare ai cronisti), anche se l'invito era di Bersani, ha pagato il conto Renzi. «Glielo dovevo, mi ha spiegato che ci faceva il tacchino sul tetto... ora sono un uomo felice».

Chissà il tacchino.

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