«Primarie aperte e patto con i moderati», ha annunciato Pier Luigi Bersani alla Direzione del Pd, convinto di aver così «archiviato la pratica» (come ha raccontato felice ai suoi collaboratori) e sicuro di avere già la vittoria in tasca. Ma quanto siano «aperte» le primarie democratiche, e quali siano i «moderati» con cui il Pd dovrebbe stringere un «patto», nessuno sa dirlo con certezza. È certo invece che la prima uscita del candidato Bersani - il messaggio agli organizzatori del Gay Pride di Bologna - sembra studiata apposta per dare un calcio nei denti a Casini e per mandare un messaggio trasversale ai molti che nel Pd non se la sentono di rifare il Fronte popolare.
«Non è accettabile - scrive Bersani - che in Italia non si sia ancora introdotta una legge che faccia uscire dal Far West le convivenze stabili tra omosessuali, conferendo loro dignità sociale e presidio giuridico». Bersani aggiunge che allo stesso modo «è intollerabile che questo Parlamento non sia riuscito a varare una legge contro l’omofobia e la transfobia», e ammonisce: «Sarà anche su questi temi, tra cui mi permetto di aggiungere il divorzio breve, l’introduzione del diritto di cittadinanza per i figli degli immigrati nati in Italia, e il testamento biologico, che nei mesi che verranno di qui alle prossime elezioni politiche, si giocherà la nostra capacità di parlare al Paese».
Nel merito, la posizione di Bersani non è nuova: aveva usato più o meno le stesse parole già in un’intervista all'Unità, lo scorso 13 maggio, all’indomani delle dichiarazioni di Obama a favore delle unioni omosessuali. Ma proprio in quell’occasione il segretario del Pd aveva precisato: «Terrei fuori dal dibattito la parola matrimonio, che da noi comporta una discussione di natura costituzionale, al contrario di altri Paesi». E tanto era bastato per attirargli le critiche e le obiezioni dell’intero movimento per i diritti degli omosessuali: da Paola Concia a Ivan Scalfarotto (rispettivamente deputata e vicepresidente del Pd), da Fabrizio Marrazzo del Gay Center ad Aurelio Mancuso, presidente di Equality Italia, fino al fondatore dell’Arcigay, Franco Grillini, tutti avevano denunciato l’ambiguità delle parole di Bersani. Che ieri non ha sciolto l’interrogativo sulla forma giuridica che dovranno avere le «convivenze stabili» fra persone dello stesso sesso.
Se dunque Bersani non ha conquistato a sé la variopinta (e politicamente trasversale) comunità omosessuale, di certo si è inimicato buona parte di quei «moderati» con i quali pure vorrebbe stringere un patto. Ma siccome Bersani non è stupido, la scelta non può essere casuale. A chi nel Pd vuole continuare la ricerca di un rapporto con Casini (e sono molti, da D’Alema a Veltroni, da Fioroni a Marini), il segretario risponde rispolverando un tema che la sinistra, giustamente, ha a cuore, e che tuttavia non può non scavare un solco profondo con l’Udc e la gran parte del mondo cattolico organizzato. La verità è che Bersani ha già scelto di far da solo, e la lunga lista di nemici e avversari, che va ingrossandosi giorno dopo giorno, anziché preoccuparlo sembra anzi costituire uno sprone e uno stimolo irresistibile. Contro Bersani c’è, tanto per cominciare, il potente partito di Repubblica: e sebbene Scalfaro e Mauro si siano platealmente divisi sull’opportunità di dar vita ad una lista civica, entrambi non perdono occasione per punzecchiare il segretario del Pd e denunciarne l’inadeguatezza. Contro Bersani c’è ormai Prodi, che, commentando la spartizione delle Autorità di garanzia, l’ha accusato di portare il Pd al «suicidio». Contro Bersani c’è naturalmente il rottamatore Renzi, che lo sfiderà nelle primarie in nome del «rinnovamento generazionale». Ma contro Bersani ci sono anche i cosiddetti «Giovani Turchi» guidati da Stefano Fassina e Matteo Orfini, che detestano Renzi ma si sentono traditi dal segretario per l’apertura alla lista di Repubblica e per la contrarietà alle elezioni in ottobre. D’Alema, in un’indiscrezione pubblicata dal Corriere, ha accusato Bersani di aver compiuto, con la scelta delle primarie, un «errore politico fondamentale» che renderà impraticabile la riforma elettorale. E la Fiom di Landini, in guerra con Bersani per l’appoggio del Pd alla riforma dell’articolo 18, minaccia di presentarsi alle elezioni con l’Idv e la Federazione della sinistra di Ferrero e Diliberto.
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