La sostanza è tutta qui: Bersani sospetta che Cairo sia l'amico del giaguaro. Cioè, del leopardo. Ma Berlusconi, pronto a trasformarsi in leone, nega. E Cairo pure. Così si ricomincia. Signore e signori, ecco a voi, a quattro giorni dal voto, il nuovo show della Telecampagna elettorale. Che stavolta riguarda una televisione: La7. La «Telecenerentola» del sistema tv. La rete che piace alla gente che piace, finora un po' snobbata a causa dei debiti. Poi improvvisamente bramata per trasformarla nella più bella del reame. Infine, amorevolmente sorvegliata da chi teme finisca in mani «nemiche». C'è da darsi dei pizzicotti, da stropicciarsi gli occhi, nell'assistere a uno show così senza nemmeno pagare il biglietto. Dunque, su il sipario.
Ieri mattina, incrociandosi nelle sale del Corriere della Sera che li ospitava in staffetta per le interviste elettorali Bersani e Berlusconi si erano stretti la mano all'insegna del fair play. «Ancora quattro giorni», aveva buttato lì il Cavaliere. «Giusto il tempo per una smacchiatina», aveva sornioneggiato il leader Pd, alludendo alla solita metafora del leopardo. Girato l'angolo, son partiti i siluri. Secondo il Cav su La7 Bersani ha fatto «un avvertimento mafioso». Suggerendo di rinviarne la vendita a dopo le elezioni ha detto chiaro e tondo che «se saremo al governo interverremo a fare non so cosa su Mediaset, per cui La7 varrà di più». Per Berlusconi «è una situazione da denunciare». Immediata la replica di Bersani che si sente «già al governo» e vuole prevenire «posizioni dominanti e conflitti d'interesse», a costo di vederli anche dove non ci sono. E si appella alla «necessaria vigilanza dell'Antitrust. Perché si sa», incalza il segretario Pd, «a Berlusconi le regole danno l'orticaria».
In sostanza, il timore di Bersani è che Cairo sia l'amico del giaguaro, anche lui pieno di macchie magari più resistenti di quelle del leopardo. Invece: «Io da Berlusconi sono stato licenziato nel 1995», ha confidato ieri mattina Cairo a Paolo Brusorio de La Stampa. «Da allora l'ho sempre avuto come avversario. Nella pubblicità e nell'editoria, sfilando quote di mercato a Publitalia e Mondadori, e nel calcio». Versione pressoché identica quella fornita dal Cavaliere. «Non ho rapporti con Urbano Cairo che per alcuni anni è stato mio assistente poi è diventato un imprenditore in proprio ed è diverso tempo che non lo sento». Fine delle metafore faunistiche.
Ma non degli avvertimenti e degli altolà preventivi. Perché sul più bello dello show entrano in ballo le star della «Telecenerentola» in questione. Del resto, se non lo fanno loro... Così Enrico Mentana pianta i suoi paletti. Cairo «è in questo momento formalmente uno dei pochi editori puri in Italia. E se lo desidera davvero può essere un buon editore», ha detto parlando ai giornalisti del suo tg. «Vorrà tenere La7 al riparo da orbite di influenza da ruoli satellitari nei confronti di Mediaset? Non credo abbia intenzione di distruggere la fonte del suo benessere. Ma rimaniamo in vigile attesa». Più fiducioso appare Gad Lerner, veterano della rete. «Non apprezzo le semplificazioni di Cairo come uomo di Berlusconi per due banali motivi. Il primo è che sa bene di aver fatto ottimi profitti raccogliendo la pubblicità su La7 come noi l'abbiamo costruita. Il secondo», continua Lerner «perché è un uomo molto concreto. Quindi non credo andrebbe contro i suoi interessi per favorire qualcuno con cui non ha rapporti professionali da anni».
Cairo non si scompone. L'editore entrante tranquillizza la squadra di giornalisti e volti noti della rete. «La linea editoriale non è affatto in discussione», ha assicurato nell'intervista alla Stampa. «Non do via i giocatori migliori, quelli che creano ascolto, che ci danno visibilità sul mercato. A me interessa risanare i conti e creare profitto».
Giaguari, leopardi e leoni possono continuare a scorrazzare ognuno nel proprio angolo di foresta.
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