Bersani getta il Pd nel panico «Primarie per il Parlamento»

Roma La bomba Pier Luigi Bersani l'ha sganciata nella riunione della segreteria di ieri mattina, allargata ai segretari regionali del Pd, e - giurano i partecipanti - ha preso di sorpresa tutti, perché il segretario ha deciso da solo e (salvo i soliti strettissimi consiglieri, a cominciare da Vasco Errani e Maurizio Migliavacca) senza consultare nessuno.
Primarie «vere» per scegliere i candidati a Camera e Senato (mentre tutti i giornali, ieri, mettevano in dubbio che il Pd le avrebbe mai fatte), organizzate a spron battuto e sotto le feste: si voterà con ogni probabilità il 29 e 30 dicembre, tra Natale a Capodanno, per avere le liste pronte a inizio anno in vista della scadenza elettorale, che pare ormai certa per il 17 febbraio. Una scelta che semina il panico nel partito e tra i parlamentari, e che obbliga Nichi Vendola ad aggregarsi, annunciando che anche Sel parteciperà alle primarie per i suoi candidati. Una scelta anche rischiosa, come ha fatto notare ieri D'Alema, memore delle disastrose primarie di Napoli: «Se poi chi resta per un soffio fuori dalla lista si rivolge alla magistratura, che si fa?».
La data è scomoda ma «obbligata», visto che le liste vanno depositate entro il 15 gennaio. E la bomba ha fatto il suo effetto, sia all'esterno che all'interno. Con l'annuncio di ieri Bersani è riuscito con perfetto tempismo sia ad oscurare Beppe Grillo e le sue surreali «parlamentarie», proprio nel giorno in cui il comico cacciava a male parole i dissidenti, sia ad uscire dall'angolo. C'era infatti il serio pericolo che, dopo l'exploit delle primarie di novembre, Bersani perdesse ogni centralità sul palcoscenico nazionale, tutto occupato dalla suspence attorno alle scelte del premier uscente e dal ritorno in campo del Cavaliere. Negli ultimi giorni, il dibattito politico è stato interamente centrato sul duello Monti-Berlusconi. La decisione di ieri riaccende invece i riflettori sul Pd, e gli assicura un nuovo battage pubblicitario fino alle elezioni. Tanto che ieri anche i renziani applaudivano: «Le primarie fanno bene alla politica e ci piacciono».
Ora tutto dipende dalle regole, che verranno varate lunedì, perché «il diavolo può nascondersi nel dettaglio», come dice Gianclaudio Bressa. Chi voterà (tutta la platea delle scorse primarie, pare), chi e come potrà candidarsi, come verranno decise le famose «deroghe» per chi ha superato le 3 legislature, e - soprattutto - quale sarà la «quota nazionale» di candidature «protette» che il segretario e le strutture del partito avocheranno a sé. E poi c'è la famigerata questione del «genere», che renderà obbligatoria l'alternanza uomo-donna e condurrà ad una strage di eletti di sesso maschile.
In Transatlantico, ieri, era tutto un fiorire di agitati capannelli e un rincorrersi di domande spaventate. Per i tantissimi «nominati» del Porcellum la rielezione diventa un terno al lotto, se i rispettivi capicorrente non potranno più garantirli. C'è poi il terrore per la carica dei notabili locali: a controllare le preferenze sul «territorio», ormai, sono solo gli eletti locali (regioni, provincie, comuni, financo circoscrizioni): se non ci sarà un filtro, si rischia un Parlamento inzeppato di presidenti di municipio e sindaci meridionali. Bastava vedere come teneva banco ieri un vero ras locale come il siciliano Miro Crisafulli per capire che, da Roma in giù, le primarie possono diventare l'Opa dei capibastone.

Oltretutto i parlamentari saranno bloccati in aula fino al 21 dicembre, e avranno pochissimi giorni per farsi «campagna elettorale». «Certo - sospirava Paola Concia - non potremo andare a bussare a casa degli elettori il 24 dicembre, se no ci tirano il torrone in testa».

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