Bersani paga i delegati per cambiare le primarie

Bersani paga i delegati per cambiare le primarie

Attenti compagni, o «una risata vi seppellirà». Matteo Renzi cita nientemeno che Bakunin per mettere in guardia il gruppo dirigente del Pd che sta tentando di trasformare le primarie in una penosissima via crucis per i malcapitati elettori. «Stiamo sfiorando il ridicolo: fermatevi prima che una risata vi venga incontro - avverte lo sfidante di Bersani - Cosa è successo di così grave per cambiare le regole che sono state valide fino ad oggi?».
È successo che, come Renzi ben sa, i sondaggi lo danno testa a testa con il segretario del Pd. E come dice un esponente a lui vicino, «per il gruppo dirigente è ormai questione di vita o di morte, non possono permettersi di mollare». Quindi il tentativo di far saltare o di blindare le primarie per evitare che, per la prima volta, il risultato non sia predeterminato, proseguirà.
Ma lo scontro interno tra renziani e bersaniani aumenta di ora in ora, e ieri Walter Veltroni (che per primo ha paventato una rottura cruenta che porterebbe alla «distruzione del Pd») ha indossato i panni del mediatore Onu e, in un lungo colloquio con Pier Luigi Bersani, ha cercato di spingere ad un compromesso: «Tu e Matteo dovete parlarvi e trovare un'intesa, altrimenti sabato si rischia il big bang». A sera, dopo una giornata di durissimi scambi verbali tra le due fazioni, i supporter del sindaco di Firenze che in mattinata avevano trovato Bersani su posizioni dure («Le regole sono quelle, e sono una garanzia per tutti») erano leggermente più ottimisti: «Vedo l'acciaio farsi più flessibile», confidava uno di loro. Complice l'ondata di proteste ironiche che si stava diffondendo sulla rete; e anche un intervento di Nichi Vendola, pure lui candidato alle primarie, che sembra mettersi di traverso alle regole più squinternate ideate al Nazareno: «Se fosse vero che può votare al secondo turno solo chi ha votato al primo mi sentirei più un candidato di un reality show che delle primarie».
Domani si riunisce l'Assemblea nazionale del Pd, e Bersani metterà sul piatto la sua proposta di regolamento. Ma la decisione finale verrà demandata al «tavolo della coalizione», di cui Sel fa parte assieme ai socialisti e all'Api di Tabacci, anche lui candidato. La maggioranza dell'assemblea è saldamente in mano al segretario e alle correnti con lui schierate. In verità nessuno sa bene quanti e chi siano i componenti della platea (sulla carta 1.000, più i segretari regionali, più trecento indicati dalle assemblee regionali che però non sono mai stati indicati, più una delegazione di cento parlamentari che però non sono mai stati delegati), e soprattutto nessuno è mai riuscito a farli venire fino a Roma. Come ha candidamente fatto notare Pierluigi Castagnetti: «Quando abbiamo eletto segretario Franceschini ci saranno state sì e no 250 persone, altro che numero legale». Stavolta però, a costo di caricarli a viva forza su pullman blindati (e a suon di sussidi: ad ogni partecipante che si registra verrà versata una «diaria» di 185 euro, buttali via), il numero legale ci sarà. Ma i renziani, che calcolano di non avere più del 10% dei voti in assemblea (il resto se li spartiscono i vari Franceschini, Fioroni, Bindi, ex Ds e così via) non possono sperare di ribaltare le regole. Renzi però offre una ragionevole mediazione: ok all'albo degli elettori e al doppio turno (che nella storia mondiale delle primarie venne introdotto solo a Firenze, sempre per stoppare Renzi, e lui vinse al primo turno), ma no alla «pre-registrazione» da farsi in misteriosi «uffici della coalizione» tre settimane prima del voto.

«Paghi, dichiari di essere elettore di centrosinistra, di aver letto la carta di intenti, la biografia di D'Alema, di conoscere tutte le strofe di Bandiera rossa ma preregistrarsi no», è l'irridente ultimatum del sindaco di Firenze, «è il sistema per portare le truppe cammellate, il sintomo della paura del gruppo dirigente». Si attende la risposta di Bersani.

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