"Se i dirigenti del Pd pensano di aver vinto queste elezioni vuol dire che vivono nell'iperuranio". Matteo Renzi s'è desto. Il rottamatore torna alla carica, pronto a dare la spallata al leader che non c'è. Dopo aver passato qualche mese in sordina, dietro alle quinte, rintanato a Palazzo Vecchio, il sindaco di Firenze lancia la sfida a Pier Luigi Bersani. Che il leader democratico non pensi di aver vita facile nella prossima corsa a Palazzo Chigi: "Lo sfido alle primarie, non è legittimato da quelle del 2009". Punto e a capo.
Ma quanti problemi in via del Nazareno. L'exploit di Grillo e del Movimento 5 Stelle, l'incapacità di vincere alle amministrative se non con candidati non del Partito democratico, la sempre più difficile convivenza con Antonio Di Pietro e Nichi Vendola. Il centrosinistra è in fermento. E, tra tutti i partiti che lo compongono, il pd è quello più instabile. Se il leader del Sel può vantare di essere a un passo dal mettere le mani sul terzo capoluogo di Regione: dopo aver preso Milano (Giuliano Pisapia) e Cagliari (Massimo Zedda), Vendola ci prova a Genova con Marco Doria. Di Pietro, invece, sorride in attesa di vedere se a Leoluca Orlando riuscirà di portar via al super favorito Fabrizio Ferrandelli il Comune di Palermo. Solo Bersani non sorride. Perché sa molto bene che non solo traballa la sua leadership all'interno dell'alleanza di Vasto, ma anche all'interno del Partito democratico. Ieri si è affrettato a far presente ai suoi che non ci sarà più un Romano Prodi. Né Pier Ferdinando Casini, o chi per lui, pensi di trattare l’alleanza con il Pd mettendo sul piatto la candidatura a palazzo Chigi. Stavolta, "il candidato premier tocca a noi". Non dice: "Tocca a me". Perchè nella ditta, si sa, si sceglie insieme. Certo, però, è una bella accelerazione in vista del voto. Quando sarà.
La carta calata da Bersani cade nel silenzio, ufficiale, del partito. Ma c’è da scommettere che alla mossa del segreterio non mancheranno "contro mosse" all’indomani dei ballottaggi. C’è già un coordinamento dei big convocato per fare il punto. E il piatto forte sarà la strategia delle alleanze. Una prima bordata arriva da Renzi che, dalle colonne del Corriere della Sera, ricorda a Bersani che non può fondare la propria legittimazione sulle primarie del 2009. "Se si vota a marzo del 2013 si facciano le primarie a ottobre o a novembre, senza inventarsi alibi - spiega il rottamatore - se Bersani ottiene un voto in più degli altri ha il diritto di essere lui il candidato e tutti noi gli daremo una mano con correttezza, ma l’idea di andare a ricercare la sua legittimazione su primarie di tre anni fa, cioè di un'era geologica fa, perché in politica è cambiato tutto, sarebbe assurdo". La sfida è semplice: Bersani deve avere il coraggio di indire le primarie.
Non è solo dall'interno del Partito democratico che arriva l'altolà a Bersani. Di Pietro potrebbe starci. L'ex pm dice di comprendere la posizione di Bersani e preferisce aspettare i contenuti su cui basare l'alleanza, senza quindi mettere "i bastoni tra le ruote alle candidature". Quello che sta a cuore a Di Pietro, e non passa giorno senza ripeterlo, è dare sostanza il prima possibile alla coalizione di centrosinistra. Diversa la reazione di Vendola che forse vede nella mossa di Bersani una sconfessione delle primarie.
"Piuttosto che concentrarci ora sulla figura del leader - attacca il governatore della Puglia - è molto importante capire se il centrosinistra c’è. Il Pd si dia una mossa: c’è il centrosinistra?". Una domanda a cui Bersani fa fatica a dare una risposta.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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