Dieci giorni dopo Daria Bignardi prova a spiegarsi e a giustificare la sua «buona intervista» a Alessandro Di Battista, il grillino incalzato a causa del padre fascista nel corso di una puntata delle Invasioni barbariche. Ci prova, la conduttrice, in un lungo post sul suo Barbablog nel sito di Vanity Fair. La lunghezza delle argomentazioni forse è un implicito riconoscimento di errore, celato dietro le accuse ai soliti giornali «pieni di pregiudizi e di livore».
Ma il risultato non è convincente. Anzi. Perché pare di capire che ci siano tipi di orgoglio differenti. Quello fiero e rispettabile e quello da nascondere. Quello che inalbera la fede nell'innocenza davanti alle sentenze dei giudici. E quello che deve mettere in imbarazzo un figlio perché il padre si proclama fascista. Bignardi si dice «orgogliosa di avere come nonno dei miei figli» Adriano Sofri. Ma il padre di Di Battista che si dice «orgoglioso di essere fascista e di indossare la camicia nera» è scomodo e va tenuto in disparte.
Prendendosela con Rocco Casalino, l'«invadente» conduttrice osserva che le sue critiche le «hanno fatto provare dispiacere per lui perché ha dimostrato di non sapere nulla della vicenda che citava, come tanti italiani del resto. Non mi ferisce leggere che mio suocero sarebbe un assassino perché - scrive - non lo è. Sono orgogliosa di avere come nonno dei miei figli un uomo che ha ingiustamente subito una condanna a 22 anni di carcere per qualcosa che non ha commesso, e che è sempre rimasto - nonostante le ingiustizie e tutto quel che di terribile ha subito - la persona straordinaria che è». Cosa sulla quale non ci permettiamo di eccepire.
Tuttavia c'è una differenza. Il fascista Vittorio Di Battista non risulta sia stato condannato per omicidi o altro genere di reati. Sofri era il leader storico di Lotta continua ma, dopo una lunga serie di processi, è stato ritenuto il mandante dell'assassinio del commissario Calabresi. Lo stesso Sofri sul Foglio ha scritto di non essere «né un assassino né soprattutto un mandante». Tuttavia, ha ammesso, Casalino e altri «possono dirlo perché li autorizza una sentenza».
Nella sua lunga replica, la conduttrice ribadisce di non aver nulla da rimproverarsi «proprio a ragione del fatto che anche io, come ho scritto nel mio primo libro Non vi lascerò orfani, un libro letto da molte persone, ho raccontato di aver avuto un padre fascista che amavo moltissimo». Purtroppo la circostanza non le ha suggerito un'intervista meno inquisitoria. Che non equivale a negare a Bignardi il diritto di far domande, a prescindere dalle sentenze che riguardano suo suocero e dalla militanza di suo padre. Ci mancherebbe: chiunque può fare il giornalista e magari riscattare le figure avitiche. Però. Bignardi confessa di «non aver rivisto l'intervista»: «Non sopporto di rivedermi e non lo faccio mai - precisa - quindi non ricordo le parole esatte che gli ho detto ma ne conosco bene le intenzioni».
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