Il plauso dei Pro Vita: "Il governo ha fatto bene: la Toscana ha oltrepassato i suoi poteri"

Parla il presidente dell'associazione prolife che domani sarà in piazza a Roma

Il plauso dei Pro Vita: "Il governo ha fatto bene: la Toscana ha oltrepassato i suoi poteri"

Domani Pro Vita & Famiglia si unirà con centinaia di attivisti e sostenitori e insieme ad altre migliaia di persone attese a Roma alla Manifestazione Nazionale “Scegliamo la Vita”, per ribadire il nostro no all’aborto, all’eutanasia, al suicidio assistito e alla manipolazione degli embrioni umani. Ne parliamo con il presidente Toni Brandi

Il governo ha appena impugnato la sentenza sulla legge toscana per il suicidio assistito, che ne pensa?

Il Governo ha fatto bene: la Toscana ha oltrepassato i suoi poteri. La Consulta ha parlato chiaro: solo il Parlamento può legiferare su questi temi, non ha mai riconosciuto un diritto al suicidio assistito. La sentenza 242/2019 lo dice: lo Stato ha il dovere di tutelare la vita e di garantire le cure palliative, non di aiutare a morire. Le proposte di legge in discussione, invece di limitare la non punibilità, aprono la porta alla liceità di morire che una certa narrazione finto libertaria chiama diritto a morire.

La domanda che di solito si fa a chi è contrario all'eutanasia e al suicidio assistito è sempre la stessa. Perché imporre a qualcuno di vivere una sofferenza che non vuole più sopportare?

Non si tratta di “imporre” la sofferenza, ma di prendersi cura di chi soffre. Questo è un compito dello Stato, delle leggi, della società intera. Pro Vita si batte per uno Stato che cura, non per uno Stato che decide chi deve vivere o morire. Vogliamo eliminare la sofferenza, non il sofferente. Le cure palliative alleviano il dolore, ma spesso il vero nemico è la solitudine, la paura, l’abbandono.

Ah si?

Una persona amata e accompagnata non chiede di morire. Lo conferma la dottoressa Vittorina Zagonel, oncologa per 40 anni e ex-dirigente dell’Istituto oncologo veneto: nessun paziente anche terminale ha mai chiesto di morire, perché ogni malato era seguito da medici, infermieri, psicologi e assistenti spirituali. Il dolore fisico si curava, quello interiore si accoglieva. Niente accanimento terapeutico, niente scorciatoie, solo dignità, fino alla fine.

Perché costringere alla vita chi desidera morire con dignità? Non è una crudeltà?

La vera crudeltà è far credere a una persona fragile che la morte sia l’unica via. La dignità sta nel sentirsi amati anche nella debolezza. Non si perde con la malattia: la dignità è connaturata, indissolubilmente legata alla persona umana. Un bimbo dipendente dai genitori ha dignità, così come un anziano o un malato la mantiene. Una società civile protegge, non scarta. La compassione vera accompagna, non elimina. Con cure e vicinanza, spesso il desiderio di vivere rinasce.

Come fa a dirlo?

Lo conferma Dario Mongiano, 62 anni, in carrozzella da sempre che si è presentatp davanti la Consulta. Ha detto “E se io un giorno fossi, solo e lo Stato mi offrisse la morte? Potrei cedere in un momento di disperazione… e non potrei tornare più indietro”. La morte non è libertà ma una fuga dalla realtà, una scorciatoia fatale.

Se una persona lucida e consapevole chiede di morire, chi è lei per impedirglielo?

L’errore è affrontare questo tema con la freddezza ideologica che finge empatia. Bisogna partire dalla realtà, non dalle teorie. Da sani si pensa che sia meglio morire che soffrire, ma nel dolore vero non si è lucidi né liberi: si cerca solo una via di fuga. Anche i più consapevoli possono cadere nella disperazione. Dire “sì” al suicidio non è libertà, è resa. Se l’autodeterminazione fosse davvero assoluta, lasceremmo suicidarsi i depressi e a digiuno gli anoressici. Pensiamo a quell’uomo sul Golden Gate Bridge di San Francisco che si stava buttando giù: dopo un’ora di ascolto, ha scelto di vivere.

Il Paese forse la pensa diversamente?

Questo è il sentire pubblico, a chi vuole farla finita si tende la mano, non si concede la morte. La medicina serve a sostenere la vita, non a finirla. Se si fosse arresa alle malattie inguaribili, oggi non avremmo terapie oncologiche avanzate né cure del dolore. In Olanda, dopo l’eutanasia, le cure palliative sono crollate (parola dell’ex ministro Els Borst). Quando si sceglie la morte, si smette di cercare soluzioni. Oggi si parla perfino di vaccini contro il cancro: ti arrendi oggi… e domani potrebbe esserci la cura. Ripeto, non si elimina il sofferente: si elimina la sofferenza.

E che ne è dell'autodeterminazione?

L’uomo non è un’isola. L’autodeterminazione ha valore, ma non è assoluta. Viviamo in relazione con gli altri e le nostre scelte hanno effetti su famiglia e società. Il dovere è prendersi cura, non abbandonare chi soffre.

Non crede sia ipocrita accettare le cure palliative ma vietare il suicidio assistito?

È profondamente diverso: le cure palliative aiutano a vivere fino alla fine, senza anticipare la morte. Il suicidio assistito, invece, toglie la vita. Il vero scandalo è che a 15 anni dalla legge 38 sulle cure palliative, secondo lo studio Cergas della Bocconi, solo il 23% degli adulti, aventi diritto alle cure, ne ha accesso e per i bambini, denuncia la Società italiana di pediatria, appena il 15-18%.

Con quali conseguenze?

È chiaro che molte persone sole, abbandonate e senza cure saranno spinte a scegliere la morte piuttosto della vita. Persino la sentenza 135/2024 della Consulta avverte che legalizzare il suicidio assistito può esporre malati e anziani ad una pressione sociale che li possa convincere di essere un peso....

E perché lo Stato dovrebbe scegliere al posto del malato sulla sua vita?

Lo Stato deve intervenire perché la vita è un bene comune, non solo privato. E il Bene comune riguarda tutti. Una legge non è mai neutra: educa, orienta, indica ciò che è bene per tutti. Una legge fa costume, ecco perché non si possono prendere casi rari e estremi che colpiscono l’opinione pubblica e poi pretendere che diventino legge per tutti.

Cosa potrebbe succedere?

Se si legalizza il suicidio assistito, si apre la porta a pressioni su malati, anziani e disabili, che potrebbero sentirsi inutili. Sarebbero i comitati etici a decidere quali vite sono “degne”: ma nessuno Stato giusto può stabilire che alcune vite valgono meno. Anche in un letto o su una sedia a rotelle si può amare, creare, sperare. La malattia non toglie dignità: lo fa l’abbandono. La vera risposta è cura, vicinanza, rispetto.

Il bilancio dello Stato è limitato e le cure costano.

La sanità deve servire tutti, non obbedire alle logiche del profitto che riducono l’uomo a un costo da tagliare. In questa visione disumana, la morte diventa “conveniente”: un veleno costa meno delle cure. Ma una società civile e giusta non sceglie chi vive in base al bilancio. Lo Stato ha il dovere di difendere la vita, non di risparmiare eliminando i fragili. Tagliare la sanità vuol dire tagliare le persone. La vera compassione rende solidali con la sofferenza altrui non sopprime colui la cui sofferenza non si sopporta.

Lei è un credente. In che modo il suo credo religioso può valere per chi non lo condivide?

Il valore della vita umana non dipende dalla fede, ma dalla dignità intrinseca di ogni persona. È un principio radicato nella nostra cultura umanistica, non solo religiosa. Come il divieto di omicidio vale per tutti, anche il rifiuto di dare la morte deve proteggere tutti, credenti e non. Non vogliamo uno Stato confessionale, ma uno Stato che cura e non abbandona. Edith Stein diceva: “Non c’è amore senza verità.” Il falso buonismo, senza etica, fa danni. Anche il filosofo laico John Skalko lo conferma: non possiamo sapere se morire sia davvero nel miglior interesse della persona, data l’imprevedibilità della malattia, dei progressi medici e dei cambiamenti interiori; il desiderio di morire nasce spesso da sofferenze trattabili come depressione o disperazione, che richiedono cura, non morte e poichè ogni vita ha valore intrinseco, legalizzare il suicidio assistito mina l’uguaglianza e la tutela dei più deboli.

So che anche lei ha vissuto un momento difficile. Ne vuole parlare?

Nel 2013 sono stato operato per un cancro al pancreas. Ho vissuto l’ansia, la paura, la depressione e dolori insopportabili, placati solo da forti antidolorifici. In quel tempo ho desiderato di farla finita. Ma oggi sono ancora qui grazie alle cure palliative, all’amore di mia moglie, degli amici, e – grazie a Dio – al fatto che non esisteva una legge che mi avrebbe permesso di compiere un gesto estremo, irreversibile, di cui non avrei mai potuto pentirmi

Ce lo chiede l’Europa, dice qualcuno...

Assolutamente falso. L’esperienza dimostra che quando lo Stato legalizza la morte, i paletti crollano. È successo nei pochi Paesi che hanno introdotto eutanasia o suicidio assistito: solo 12 su 194 nel mondo. Chiediamoci: perché 182 Paesi rifiutano questa deriva? Perché la coscienza collettiva mondiale è contraria. Il piano inclinato è reale: si parte dai malati terminali e si arriva a uccidere depressi, disabili, alcolisti, anoressici, minori, malati psichici e persone stanche di vivere. La morte dilaga. In Canada, i casi sono passati da 1.982 nel 2016 a oltre 15.000 nel 2024. Assicurazioni non pagano le cure ma offrono il suicidio, è successo in California, a Stephanie Packer, madre di 4 figli, fu negata la chemio, ma offerto il suicidio assistito.

Quanto è importante il consenso?

In Canada oggi si propone la morte a chi è depresso e disabili chiedono la morte perché non ricevono cure. In Olanda, 1 caso su 5 di eutanasia, avviene senza consenso. Sempre in Olanda, Noa Pothoven, 17 anni, morì per eutanasia dopo gravi traumi psicologici. Vorrei terminare con alcune domande ai lettori.

Dietro al suicidio assistito c’è il risparmio sanitario o eliminare chi non produce? Vogliamo che l’Italia sia il 13° Paese a scegliere la morte, contro il giudizio del mondo intero? Oggi il 77% dei malati non accede alle cure palliative. I suicidi giovanili aumentano. Qual è la priorità di uno Stato civile? Facilitare il suicidio o prevenirlo?

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica