Cacciare i leoni d'allevamento? È roba da conigli

In Sudafrica migliaia di felini vengono cresciuti nelle aziende agricole come fossero fagiani. Così i turisti stranieri, pagando, si portano a casa un trofeo "taroccato"

Cacciare i leoni  d'allevamento? È roba da conigli

Trattati come lepri o fagiani. Non che questi meritino di essere cacciati nelle riserve (ora pomposamente chiamate aziende agrofaunistiche venatorie), veri e propri pollai che, per un cacciatore di quelli seri, sono la vergogna dei seguaci di Diana, ma arrivare ad allevare il re della foresta e stiparlo in piccole aree recintate dove viene braccato da panciuti pensionati con gli otri pieni di birra, grida veramente vendetta. È il nuovo business, e la nuova vergogna, di un Paese molto controverso, come il Sud-Africa, dove già i diamanti hanno insanguinato milioni di mani.

«Sono adorabili, con il loro pelo soffice, gli occhi grandi e tristi e leccano le mie dita come fossero fiori» racconta l'inviato del Guardian «eppure mi devo rendere conto che, sebbene mi stiano comodamente in braccio, con i loro sessanta giorni di età, questi sono leoni».

Naturalmente non si tratta di leoni selvatici. Vengono allevati in una sorta di piccolo ranch poco distante da Johannesburg. In Sudafrica appunto, ci sono oltre 160 di questi ranch, dove si allevano leoni come lepri o fagiani per la pronta caccia. Legalmente, sia chiaro. Se andate a intervistare i proprietari dei nuovi, strani ranch non vi diranno mai che questi animali sono a disposizione di cacciatori americani ed europei oppure che i loro organi saranno spediti a qualche asiatico con problemi di «arrapamento» nella falsa speranza di ardenti amplessi.

Gli animalisti però, sì. Loro tengono da molto tempo sotto osservazione questo nuovo business «Caccia in scatola» come viene chiamata la pratica generosamente pagata dai cacciatori occidentali, perché è un po' come se si trattasse di sparare ai pesci dentro un barile.

Funziona così: il «battitore» raccoglie la comoda preda mezzo addomesticata in una parte del ranch, la fa camminare in modo che un po' si stanchi e un po' si annoi e infine la porta dritta davanti al cacciatore (o cacciatrice) che emette grugniti di gioia quando riesce a colpirla con un fucile di estrema precisione in mezzo agli occhi. Una variante molto apprezzata dai più raffinati è l'uso della balestra.

Tutti i cacciatori sparano ben nascosti e protetti all'interno della jeep o del camioncino. Il costo? Da 5 a 25.000 dollari, a seconda dell'attrezzatura in dotazione, della preda, del numero dei battitori e del tempo impiegato. Per un ricco petroliere texano, ma anche per un semplice imprenditore di livello italiano, cosa volete che siano 10 o 15.000 euro? In molti casi il guadagno di una settimana di lavoro. Come ho già scritto, è tutto legale. Se volete, per una somma decisamente inferiore (300 euro) potete invece fare un safari fotografico o accarezzare i leoni appena nati e per una cifra di poco superiore sarete addirittura «accreditati» a partecipare alla «caccia in scatola» del damalisco dalla faccia bianca o dell'Antilope saltante, i simboli del Sudafrica. Qui, ve la cavate con poco e vi divertirete ugualmente, vi assicurano i numerosi siti web che v'invitano alle battute di «caccia in scatola» nel Paese dei diamanti insanguinati.

La caccia poi è solo un lato del business, completata dall'esportazione in Asia, di soggetti o organi. Solo nel 2011, sono stati esportati in Cina, Laos e Vietnam 70 trofei di leone.

In questi Paesi è illegale l'acquisto e lo scambio di organi di tigre, mentre la domanda per quelli di leone sta andando alle stelle ed è legale.

Abbiamo dunque un nuovo sport: la «caccia in scatola», ovvero l'ennesima vergogna di una parte del mondo ricco, annoiato e ignorante.

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