Un cognome che è un marchio della storia giudiziaria italiana. Un crac antico e sempre evocato, una condanna poi revocata a un quarto di secolo dai fatti, come solo in Italia succede. Ora un'accusa nuova che sembra antica. Angelo Rizzoli è di nuovo nei guai, ma questa volta i fantasmi del'Ambrosiano, di Licio Gelli e della P2 - quasi un riflesso pavloviano della coscienza nazionale - non c'entrano. La realtà è molto più prosaica e rimanda alla nuova vita di Rizzoli, quella di produttore e distributore di fiction, film e soap: Capri, Ferrari, Marcinelle, solo per citare qualche titolo. Sembrava che tutto funzionasse a meraviglia e invece per la magistratura romana quelle società venivano spremute e poi svuotate e pilotate verso il fallimento. Una, due, tre, quattro volte.
Pesante la contestazione: bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale. Non solo: nell'indagine risulta coinvolta anche la moglie Melania De Nichilo Rizzoli, deputato del Pdl. E poi ancora c'è il sequestro preventivo dei beni, per un valore di sette milioni di euro, e fra questi la sontuosa dimora dei Parioli, 21 stanze che naturalmente di questi tempi, tarati sulla sobrietà e l'indignazione, sono già un mezzo indizio di colpevolezza. Le manette, nel giorno in cui la ghigliottina scende con clamore su molte teste note del Pese, rischiano di rubare il futuro al nipote del Cumenda che fondò la gloriosa casa editrice. O meglio, si potrebbe dire che il passato, che pareva finalmente passato, si riaffaccia più minaccioso che mai.
Il primo arresto avvenne il 18 febbraio 1983, giusto trent'anni fa, e la condanna per bancarotta, datata 1998, venne infine cancellata dalla Cassazione solo nel 2009, perché la nuova legge fallimentare ha abolito i reati legati alla fase di amministrazione controllata. Certo, la nuova legislazione gli aveva dato, sia pure a scoppio ritardato, una mano e lui aveva esclamato: «Dopo 26 anni esco pulito». Errore. Si ricomincia.
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