diL'Iva colpisce l'incremento di valore che si verifica nel passaggio da un operatore economico all'altro su beni e servizi. Alcuni di questi servizi, per la loro elevata valenza sociale, ne sono esenti: le prestazioni mediche, quelle didattiche, i trasporti urbani, le biblioteche, i musei e gli asili, ma anche le operazioni creditizie, i servizi finanziari e assicurativi, le operazioni di Borsa. Vi sono poi beni di prima necessità (il pane, i formaggi, la verdura) cui si applicano aliquote agevolate dal 4 al 10%, così come sui servizi turistici e alberghieri.
Come è noto, dal 1° ottobre, in Italia l'aliquota massima è passata dal 21 al 22%, proiettandoci sempre più in alto nella scala europea e mondiale di chi ha la più elevata quota di questa discussa tassa indiretta, che si dice normalmente «colpisce» mentre, più correttamente si dovrebbe dire «ferisce» o «martoria» ulteriormente una popolazione ormai ridotta a una rapa, notoriamente esangue.
Fino a qualche anno fa le professioni sanitarie erano esenti da Iva. Come i medici, i dentisti e le ostetriche anche le parcelle dei veterinari non ne erano gravate. Tutto ciò in omaggio al fatto che una prestazione sanitaria abbia una valenza un tantino diversa da quella erogata da chi, del tutto rispettabilmente, gestisce un negozio di cravatte griffate o vende attrezzi erotici in un sexy shop. Chi va dal medico o dal veterinario non ci va per sfizio. Nel caso del veterinario ci va per due motivi: il primo è che probabilmente possiede un animale ammalato, il secondo è che vuole prevenire eventuali malattie trasmissibili dall'animale all'uomo, rare ma possibili, talvolta solo fastidiose, altre volte potenzialmente serie. Basterebbe citare i cosiddetti «funghi» (micosi), la scabbia (rogna), la malattia da graffio oppure, per andare su faccende molto più serie, la rabbia, la tubercolosi l'echinococcosi, la leptospirosi, le malattie trasmesse da zecche e insetti succhiatori di sangue, per capire quale formidabile «filtro sanitario» sia la figura del medico veterinario. Egli, attraverso la prevenzione e la cura sugli animali, evita alle persone di contrarre malattie comuni agli uni e agli altri, facendo peraltro risparmiare allo Stato milionate di euro, tra visite mediche, specialistiche, analisi del sangue, ricoveri e assenze dal lavoro.
Qualche anno fa un solerte ministro di centrosinistra, invocando il recepimento di una direttiva europea, pensò bene di gravare le prestazioni veterinarie di un bel 20% di Iva. Non eravamo ancora alla canna del gas, eppure quando si tratta di intascare soldi per mantenere emolumenti d'oro alla burontocrazia, bulimica e perversa di questo Paese, i nostri governanti sono tutti presi da una sindrome vampiresca che, un tempo suggeva il sangue in modo nobile e gentile, come soleva il principe transilvano, mentre ora affonda i denti e lacera giugulari, senza tanti complimenti, di giorno e di notte.
Si sono succeduti governi di destra, di sinistra, di scopo, di saggi, di poco saggi, ma l'Iva sulle prestazioni veterinarie per i Pet e i loro alimenti non ha fatto che aumentare. Siamo ora al 22%, l'aliquota più alta, quella di aragoste, champagne e gioielli.
Solo su scatolette e sabbietta, necessari per mantenere un gatto, volano via centinaia d'euro all'anno in Iva. Su 50 euro di prestazione veterinaria se ne vanno in Iva ben 11.Tassate pure l'affetto e la medicina preventiva. Vi aspettiamo con la bocca strapiena di queste parole alla prossima campagna elettorale.
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