Se non è il caos, poco ci manca. Il tentativo di imporre una modifica «last-minute» alla legge elettorale per le Europee sulla parità di genere produce un unico risultato chiaro: una spaccatura profonda e a tutti i livelli. Una sorta di tutti contro tutti che prende forma dentro il Pd, dentro la maggioranza di governo, tra i piccoli partiti, tra le senatrici di tutti gli schieramenti. Con un paradosso: a Palazzo Madama va in scena uno dei primi casi parlamentari di «auto-ostruzionismo», con gli esponenti del Partito democratico - tra i proponenti il disegno di legge - impegnati in aula in interventi-fiume volti ad allungare i tempi della discussione generale, oltre a continue richieste di verifica del numero legale e conseguenti sospensioni. Pratiche dilatorie messe in campo mentre nei corridoi del Senato si cerca disperatamente un accordo. Impresa che si rivela impossibile tanto che il dibattito si protrae per tredici ore con rinvio alla prossima settimana.
La premessa di questa confusa pagina di storia parlamentare è una sorta di «intesa cordiale» raggiunta in Commissione. Un pre-accordo da formalizzare in aula. Il testo avrebbe previsto l'obbligo di redigere liste composte per almeno un terzo da donne. Complice l'offensiva muliebre sull'Italicum le carte in tavola vengono cambiate in corso d'opera. E in aula c'è chi presenta emendamenti per imporre l'obbligo di presentare liste in cui i numeri «1» e «2» siano di sesso diverso. Il successivo rilancio è un emendamento che obbliga l'elettore, nel caso voglia esprimere più di una preferenza, a scegliere obbligatoriamente un uomo e una donna, in base al principio della parità e alternanza di genere.
Il Pd appare incerto sul da farsi. Forza Italia esprime la propria contrarietà, anche se secondo indiscrezioni potrebbe accettare una riformulazione che preveda sì l'obbligo di votare una donna, ma soltanto qualora sulla scheda l'elettore esprima tutte e tre le preferenze a disposizione (in questo modo l'elettore che volesse votare per due uomini o per due donne potrebbe comunque farlo). Contrario anche Ncd che punta molto sui portatori di voti (maschi) e non può permettersi battaglie di principio. Inoltre tutti i partiti percepiscono la potenziale incongruenza di avere una legge per le Europee che preveda la parità di genere e una per le Politiche che non la contempli e mettono in conto la possibile ricaduta sull'Italicum, la legge elettorale nazionale approvata alla Camera.
Se la matassa non fosse sufficientemente intricata, al Senato entrano in ballo anche altri fattori. Innanzitutto il nodo dei tempi. Il Viminale ha fatto sapere che modificare la legge quando sono già scattati i 180 giorni per la presentazione delle liste significa esporsi al rischio di un annullamento delle elezioni. Tanto più che ci sono liste per le quali sono già state raccolte le firme e che rischierebbero di dover ripartire da zero. Inoltre, a rendere ancora più incandescente il dibattito, contribuisce anche un altro tentativo dell'ultima ora: quello di modificare la soglia dell 4%.
Parte del Pd è tentato di cedere (magari ottenendo come contropartita un binario preferenziale per il ddl Delrio sulle province).
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