Roma - Ore 16. La sala dell'interrogatorio è nella caserma della Guardia di finanza di via dell'Olmata, a Roma. Da una parte del tavolo ci sono il procuratore di Palermo Francesco Messineo, l'aggiunto Antonio Ingroia e la pm Lia Sava, dall'altra c'è Silvio Berlusconi. Solo. Viene ascoltato come testimone e parte offesa nell'inchiesta sulla presunta estorsione (40 milioni di euro in 10 anni) ai suoi danni da parte del senatore Pdl Marcello Dell'Utri.
Sono quasi le 19 quando il Cavaliere, accompagnato dai legali Niccolò Ghedini e Luigi Longo, lascia la sede delle Fiamme gialle in auto per rientrare a Palazzo Grazioli.
«Il presidente Berlusconi - fanno sapere gli avvocati - ha chiarito tutto». Nessuna estorsione («Solo donazioni a un amico e prezioso collaboratore»), niente dazioni a Dell'Utri per «comprare» il suo silenzio su presunti rapporti con la mafia, come ipotizzato dagli inquirenti. I 21 milioni per la villa sul lago di Como? Stabiliti da una perizia. Durante l'interrogatorio Berlusconi ha consultato una serie di bonifici che nei prossimi giorni saranno spediti ai pm.
Nel colloquio si è parlato anche del boss Tanino Cinà e di Vittorio Mangano, stalliere ad Arcore, entrambi presentati al Cavaliere da Dell'Utri e «persone apparentemente per bene, dai modi gentili. Impossibile sospettarne i legami mafiosi», emersi molto tempo dopo, quando Mangano non lavorava più ad Arcore.
Quella di ieri è la terza convocazione per Berlusconi in due mesi. A luglio e poi il 13 agosto il leader del Pdl non si è presentato, chiedendo un rinvio per precedenti impegni istituzionali, mentre la figlia Marina è stata ascoltata a Palermo a luglio. Dopo una trattativa durata settimane tra i pm e gli avvocati del Cavaliere, solo martedì sera e non senza polemiche interne i magistrati hanno accettato la proposta di volare nella Capitale per ascoltare Berlusconi nell'ultimo dei 10 giorni utili. Ghedini aveva contestato ai siciliani sia l'incompetenza sull'indagine e anche la veste in cui doveva essere sentito Berlusconi, non come testimone (con l'obbligo di verità e senza assistenza del legale) ma come indagato in reato connesso (alla presenza del difensore). I pm non hanno voluto aspettare la decisione del pg di Cassazione, al quale è ricorso Ghedini, anche se si trattava di «pochi giorni» (come sottolinea, polemico, l'avvocato).
«Berlusconi è stato sentito come persona informata sui fatti. Altro non posso aggiungere», dice Messineo, che qualche parola in più dice sugli ultimi veleni nella Procura legati alla scelta di Roberto Tartaglia, appena arrivato, come coassegnatario dell'indagine sulla trattativa Stato-mafia, contestata dal pm Marco Verzera, di Magistratura indipendente. «Non capisco queste polemiche - replica Messineo - Tartaglia è giovane ma molto preparato. Una persona di spessore».
Sulla questione delle intercettazioni palermitane delle conversazioni tra Giorgio Napolitano e l'ex ministro Nicola Mancino monta anche una controversia tra il procuratore generale della Cassazione, Gianfranco Ciani e il pm della Dda di Caltanissetta, Nicolò Marino, che l' ha accusato sul Fatto di aver chiesto al procuratore nazionale antimafia Piero Grasso di avocare le indagini sulla trattativa Stato-mafia. Ciani nega e rivendica la correttezza del suo operato, dopo essere stato interessato della questione intercettazioni dal Quirinale. Il pm, però, insiste riferendosi alle stesse parole di Grasso, «mai smentite».
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