Quando Berlusconi lascia Montecitorio accompagnato da Alfano, l'umore non sembra dei migliori. Un Cavaliere di poche parole che davanti alle domande si limita a dire che di lì a qualche minuto arriverà un comunicato ufficiale. Nient'altro. Anche se in verità, a dispetto di quanti sostengono che l'incontro con Bersani non sia andato granché bene, le cose sembrano essere più sfumate.
Un faccia a faccia per certi versi «di circostanza», ma dal quale Berlusconi incassa comunque un piccolo successo. A un mese e passa dalla elezioni e dopo una settimana di consultazioni in cui il segretario Pd non gli aveva fatto neanche una telefonata, Bersani è infatti «costretto» a incontrare il Cavaliere e quindi concedergli il rango di «interlocutore» (cosa che da presidente del Consiglio pre-incaricato aveva fatto piuttosto fatica a fare). Si parla dei criteri con cui indicare il nuovo presidente della Repubblica, sottolineano sia Alfano che Enrico Letta, unici presenti al faccia a faccia in campo neutro alla Camera. E non di come dovrebbe essere il futuro governo. Ma, per dirla con la colomba Bonaiuti, «è bene guardare il bicchiere mezzo pieno». Nel senso che a leggere il comunicato di Alfano e sentire la conferenza stampo di Letta la sensazione è che - al momento - i nomi più sgraditi al Pdl sarebbero fuorigioco.
Certo, la trattativa è ancora lunga, ma dopo che Bersani completerà il «giro di consultazioni» sul Colle e rivedrà anche Berlusconi (ieri i due sono anche restati soli per una decina di minuti) diventerà piuttosto difficile per lui «forzare» su nomi come quello di Prodi o di Zagrebelsky. Anche se, va detto, la partita è aperta e a via del Plebiscito non si escludono sorprese dell'ultimo momento. O perché l'ala più oltranzista del Pd si mette di traverso oppure perché lo stesso Bersani ha in testa di provare lui personalmente il blitz sul Quirinale. Ed è proprio questo uno dei timori del Cavaliere: che il segretario del Pd punti direttamente al Colle, per uscire dal loop in cui è finito e allo stesso tempo sbloccare la partita interna al suo partito lasciando campo libero a Renzi.
Nel Pdl, dunque, restano le perplessità. Non solo di chi, come la Santanché, è convinto che alla fine la via più probabile resti quella del voto anticipato, ma anche di chi non ha gradito che si sia parlato solo del Colle e non del governo. Argomento, quest'ultimo, che ha aleggiato su tutto il colloquio ma nel quale non si è davvero entrati. Ecco perché a Palazzo Grazioli si parla sì di «disgelo» ma non si va oltre. Perché il nodo del governo non è un dettaglio. Che Bersani insista sulla linea di un esecutivo di minoranza è cosa che il Cavaliere non manda giù.
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