Il Cav disinnesca la mina Prodi: non andrà al Colle

Messi fuorigioco i nomi sgraditi al Pdl. Ma Berlusconi ancora non si fida: teme un blitz di Bersani per lasciare campo a Renzi

Silvio Berlusconi con Angelino Alfano lascia Montecitorio
Silvio Berlusconi con Angelino Alfano lascia Montecitorio

Quando Berlusconi lascia Montecitorio accompagnato da Alfano, l'umore non sembra dei migliori. Un Cavaliere di poche parole che davanti alle domande si limita a dire che di lì a qualche minuto arriverà un comunicato ufficiale. Nient'altro. Anche se in verità, a dispetto di quanti sostengono che l'incontro con Bersani non sia andato granché bene, le cose sembrano essere più sfumate.
Un faccia a faccia per certi versi «di circostanza», ma dal quale Berlusconi incassa comunque un piccolo successo. A un mese e passa dalla elezioni e dopo una settimana di consultazioni in cui il segretario Pd non gli aveva fatto neanche una telefonata, Bersani è infatti «costretto» a incontrare il Cavaliere e quindi concedergli il rango di «interlocutore» (cosa che da presidente del Consiglio pre-incaricato aveva fatto piuttosto fatica a fare). Si parla dei criteri con cui indicare il nuovo presidente della Repubblica, sottolineano sia Alfano che Enrico Letta, unici presenti al faccia a faccia in campo neutro alla Camera. E non di come dovrebbe essere il futuro governo. Ma, per dirla con la colomba Bonaiuti, «è bene guardare il bicchiere mezzo pieno». Nel senso che a leggere il comunicato di Alfano e sentire la conferenza stampo di Letta la sensazione è che - al momento - i nomi più sgraditi al Pdl sarebbero fuorigioco.
Certo, la trattativa è ancora lunga, ma dopo che Bersani completerà il «giro di consultazioni» sul Colle e rivedrà anche Berlusconi (ieri i due sono anche restati soli per una decina di minuti) diventerà piuttosto difficile per lui «forzare» su nomi come quello di Prodi o di Zagrebelsky. Anche se, va detto, la partita è aperta e a via del Plebiscito non si escludono sorprese dell'ultimo momento. O perché l'ala più oltranzista del Pd si mette di traverso oppure perché lo stesso Bersani ha in testa di provare lui personalmente il blitz sul Quirinale. Ed è proprio questo uno dei timori del Cavaliere: che il segretario del Pd punti direttamente al Colle, per uscire dal loop in cui è finito e allo stesso tempo sbloccare la partita interna al suo partito lasciando campo libero a Renzi.
Nel Pdl, dunque, restano le perplessità. Non solo di chi, come la Santanché, è convinto che alla fine la via più probabile resti quella del voto anticipato, ma anche di chi non ha gradito che si sia parlato solo del Colle e non del governo. Argomento, quest'ultimo, che ha aleggiato su tutto il colloquio ma nel quale non si è davvero entrati. Ecco perché a Palazzo Grazioli si parla sì di «disgelo» ma non si va oltre. Perché il nodo del governo non è un dettaglio. Che Bersani insista sulla linea di un esecutivo di minoranza è cosa che il Cavaliere non manda giù.

Non è escluso, insomma, che le posizioni possano tornare ad irrigidirsi, perché - dice ai suoi l'ex premier - teorizzare un governo che si va a raccattare i voti a destra e a manca quando ci serve un esecutivo forte per chiedere all'Europa di rivedere il patto di stabilità è follia.

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