«All'opposizione? Non ne farei un dramma...». Berlusconi, coi suoi, valuta tutti gli scenari futuri. Ma smonta così una delle obiezioni forti dei governisti che da tempo ripetono: «Se facciamo cadere il governo le elezioni rimarranno una chimera: Napolitano metterà su un governo a noi ancor più ostile e saremmo relegati all'opposizione senza contare nulla». Tutto vero. Ma il Cavaliere continua a far scorrere il brutto film di cui è suo malgrado protagonista: «Per senso di responsabilità mi sono dimesso e ho appoggiato Monti; per senso di responsabilità ho rimandato al Colle Napolitano; per senso di responsabilità ho voluto fortemente il governo delle larghe intese; per senso di responsabilità ho auspicato la pacificazione nazionale. E in cambio? Cosa ho ottenuto in cambio? Una condanna che grida vendetta dopo vent'anni di persecuzione giudiziaria; una gara tra sinistra e giudici per cacciarmi dal Parlamento e sbattermi in galera; premier e Quirinale che non muovono un dito per me; un governo di manette e tasse». Ecco perché le ragioni degli alfaniani hanno poca presa su un Berlusconi determinatissimo che ribadisce la strategia del doppio binario: «Cavaliere di lotta e di governo». Questa legge di stabilità non piace neppure un po'. Quindi l'ex premier benedice gli attacchi del tandem Brunetta & Capezzone, vere sentinelle antitasse. Il primo, ha già intenzione di rivoltare il provvedimento del governo come un calzino; il secondo mostra i muscoli e giura di non fare sconti in sede parlamentare: «I nostri obiettivi sono quelli tassativamente indicati dai nostri elettori, quando ci hanno mandato in Parlamento: meno spesa pubblica, meno tasse, e l'obbligo di salvare la casa da un'inaccettabile stangata». Insomma, la linea auspicata dagli alfaniani di blindare palazzo Chigi «senza se e senza ma» non convince neppure un po' l'ex premier. «O si cambia registro o cosa ci stiamo a fare al governo?», si chiede Berlusconi. Certo, lo stacco della spina non sarebbe fatto a cuor leggero anche se viene messo in conto. In più c'è sempre la speranza che siano gli altri, ossia i renziani, a prendersi la responsabilità di tirare il grilletto contro il governo delle larghe intese.
E poi c'è il problema del partito. Anche su questo fronte Berlusconi non intende retrocedere. Andrà avanti con il lancio di Forza Italia; cercherà nuovamente di convincere Alfano ad affrancarsi dai suoi falchi; chiederà al vicepremier di convergere sul documento uscito dall'ultimo ufficio di presidenza. Di Angelino continua a parlare con toni ben diversi rispetto ai ministri a cui invece non lesina parole dure: «Se sono lì lo devono a me», dice amareggiato. Con Alfano continuano i faccia a faccia serrati. L'ultimo nella serata-nottata di ieri quando il vicepremier vola ad Arcore dopo un incontro con Napolitano. Le posizioni sono chiare e restano distanti, con Angelino che chiede il riconoscimento e la tutela della sua corrente ma soprattutto di poter dire la sua al momento dell'eventuale composizione delle liste. Quello è il nodo centrale e il Cavaliere lo sa bene. Ad Angelino continua a garantire una posizione apicale nel futuro partito, in cambio del rientro sul documento di 8 punti. Il braccio di ferro continua ma sulla strada della ricomposizione c'è un sassolino in più.
L'uscita di Alfano sulle primarie non è piaciuta affatto al Cavaliere che le ha sempre considerate «roba da sinistra che non ha mai garantito il candidato migliore». E l'ex ministro Anna Maria Bernini forse meglio interpreta il pensiero profondo dell'ex premier: «Le primarie? Una provocazione», taglia corto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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