Roma Batmam vola nel carcere di Regina Coeli di buon'ora e atterra sul tampone d'inchiostro delle impronte digitali quando ancora sta inviando via sms con l'Ansa. «Urlo la mia innocenza» batte sui tasti a imperitura memoria. «Avete fretta di vedermi in carcere? Meglio la cella che il Pdl», digita a testamento dell'ultima giornata da cittadino libero quando intuisce che libero non lo è più nella caserma del Comando Valutario della Gdf dove è stato messo al corrente del suo destino. Capisce che fa prima a dirle a voce certe cose anche perché saranno le ultime. Telefona: «In carcere non credo che troverò gente peggiore di quella che ho frequentato in Regione e nel partito. Dimostrerò la mia innocenza. L'ordinanza si basa su un ipotetico pericolo di fuga e sul fatto che essendo ancora consigliere e presidente della commissione bilancio potrei non so come reiterare il reato, cosa impossibile non essendo io più presidente di una commissione sciolta».
Basta parlare. L'ex capogruppo del Pdl alla Regione Lazio riattacca e saluta il suo avvocato, Carlo Taormina, chiudendosi alle spalle la porta carraia di Regina Coeli. Al momento è l'unico politico a pagare per un sistema «marcio» nelle fondamenta sin dai tempi della giunta Marrazzo, e che per anni ha visto tutti d'accordo nella spartizione e nella gestione (allegra) dei fondi fino al momento dell'esplosione dello scandalo. Il facsimile della condanna morale l'hanno sottoscritto tutti, specie ora che sono uscite le carte che motivano la reclusione. Nell'ordinanza c'è di tutto: ha cercato di depistare le indagini, ha venduto a se stesso auto acquistate dal gruppo di cui era il capo, ha cucinato dossier sui suoi avversari politici da consegnare ai giornali utilizzando false fatture, forse si è comprato la villa al Circeo, le cravatte, la caldaia, le vacanze, tutto col denaro del partito. Il reato che lo ha spedito in gabbia è peculato, anche se l'avvocato Taormina proverà a dimostrare che eventualmente si tratta di appropriazione indebita.
In totale avrebbe movimentato sei milioni di euro in due anni, di cui un milione e trecentomila rimastigli incollati alle mani nemmeno fosse l'Uomo Ragno. Sono 193 i bonifici che ha tentato di giustificare con la storia del cumulo delle cariche e delle relative indennità. Il Gip è durissimo sulle esigenze cautelari. Essendo Fiorito un pubblico ufficiale potrebbe continuare a dissanguare le finanze pubbliche. Che «Francone» sia un tipo spregiudicato, il giudice lo dice chiaro quando si sofferma sui «frammenti di fatture destinate al gruppo» ritrovati nel tritacarte e nella pattumiera di casa. Lento, è stato lentissimo a consegnare gli incartamenti richiesti dalla Finanza. Furbo a depistare la polizia giudiziaria che gli avrebbe dovuto perquisire casa inducendo gli ufficiali ad aspettarlo in strada mentre lui era dentro da un pezzo. Furbissimo perché nasconde cartelline in bagno che la Gdf non trova. Un atteggiamento che in Procura ha insospettito parecchio. Il 14 settembre le Fiamme gialle bussano alla sua porta. Non trovano nessuno. Fiorito si fa vivo cinque giorni dopo, con una «paccata» di fatture. E lì iniziano i guai. Uno tira l'altro, come i prelievi effettuati al bancomat in preda alla bulimia. «Utilizzo incontrollato» di carte di credito e assegni, sintetizza il Gip. Un'«inappagata sete di arricchimento personale» quella dell'ex sindaco di Anagni che, «sin dall'inizio della consiliatura ha inteso le sovvenzioni pubbliche previste dalla legge come il proprio personale portafoglio». Esternazioni, interviste e comparsate in tv non gli hanno giovato, anzi.
Gli ha nuociuto, a detta del Gip, l'utilizzo dei mass media come mezzi di pressione. Per gli inquirenti più parlava, e più despistava e inviava messaggi in codice. Lui, Batman, solo e senza più poteri, ha straparlato fino all'ultimo. Stavolta per esorcizzare la paura del carcere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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