
Non c'era bisogno dell'Expo per scoprire che se ci fosse un campionato, gli italiani sarebbero campioni del mondo di salto sul carro del vincitore. E siccome in tempi di decadenza la politica, invece di guidare il Paese, ne diventa solo uno specchio grottesco dei vizi peggiori, ecco che domenica alla villa Reale di Monza c'è stata la gara dei papaveri a celebrare l'esposizione del 2015. Una messa cantata con lodi trasversali, come si conviene al rito previsto dal governo delle larghe intese e lenzuolate di discorsi ufficiali. Fino a scoprire che quello che al tempo di Letizia Moratti era considerato poco più che folclore, oggi secondo il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è diventato addirittura lo strumento per «il superamento della crisi che stiamo vivendo nel mondo dal 2008 e della recessione che sta mettendo a dura prova l'Europa». Belle parole, presidente. Peccato che come il governatore Roberto Maroni le ha ricordato, per un appuntamento da lei considerato in grado di dare perfino una svolta alla crisi economica mondiale, il governo non si sia nemmeno preoccupato di sciogliere quel cappio assurdo che è il Patto di stabilità, dando alla Lombardia e a Milano la possibilità di investire i soldi che già hanno. Perché qui il problema non è chiedere risorse al governo, ma soltanto di poter spendere. Con buona pace del premier Enrico Letta che dal palco assicurava che l'Expo sarà «il cuore della ripresa italiana».
Ne sarà felice la Moratti, lasciata sola a girare il mondo (sempre a bordo dell'aereo di famiglia per non pesare sulle casse pubbliche) a caccia dei voti per la candidatura di Milano. Certo allora i politici (soprattutto di sinistra) stavano alla larga perché c'era da lavorare e soprattutto perché si dava per sicura la sconfitta con Smirne, l'alfiere di un'economia rampante come quella della Turchia di quegli anni. E certo la Moratti non avrebbe mai sospettato che, ovviamente a posteriori, alla sua creatura sarebbero state riconosciute addirittura virtù terapeutiche. Una specie di psicanalisi collettiva, perché un Letta in versione freudiana ha detto che per l'Italia «l'Expo dovrà essere soprattutto l'occasione per uscire dalla cappa di sottovalutazione e autolesionismo». Peccato che, nonostante le parole, sia poi bastata una primavera piovosa per far saltare il cronoprogramma del cantiere. «E adesso - va ripetendo il commissario Expo Giuseppe Sala - dobbiamo correre».
Certo non correranno i politici che posato per qualche foto, torneranno a chiudersi nei ministeri sperando di arrivare fino all'inaugurazione. Senza troppo faticare. Perché una buona fetta di quei 20 milioni di visitatori attesi sarà cinese. Peccato che il governo non sia ancora riuscito a risolvere un problema non certo irrilevante come la difficoltà per i cinesi di avere il visto per entrare in Italia. Così come nessun ministro è riuscito a garantire la chiusura in tempo dei cantieri delle nuove metropolitane. E così all'italiana, della linea 4 saranno inaugurate solo due fermate su ventuno. Un bluff.
Non parliamo delle strade che non arriveranno e dei collegamenti ancora in alto mare.
E la sede ufficiale, proprio quella villa Reale i cui lavori di restauro non saranno ultimati? O del Padiglione Italia bloccato da Tar? O magari del sindaco Giuliano Pisapia che non ha ancora risolto un problemino come l'accesso alla porta Est dopo la mancata realizzazione del tratto da via Stephenson a Expo? Polvere nascosta sotto i tappeti della melensa e inutile cerimonia di domenica. Ma spesso sono proprio i granelli a inceppare i meccanismi.