Chi scommette su Renzi perde tutto

È inimmaginabile che il "rivoluzionario" Renzi riesca, con simili compagni di viaggio, a rin­novare il partito, dandogli le conno­tazioni moderne che egli vagheggia ogni qualvolta apre bocca

Matteo Renzi
Matteo Renzi

L'assemblea del Pd, a prescindere da­gli interventi che l’hanno animata anche ieri, è un rituale total­mente inutile. Le cosiddette re­gole servono solo a irrigidire i partiti e a renderli incapaci di camminare al passo coi tempi. I dirigenti si fissa­no sulle norme e perdono di vista la realtà. Nel ca­so specifico ab­biamo assistito a un torneo orato­rio fra i big, cia­scuno dei quali punta alla leader­ship - come è ov­vio che sia - sen­za però sapere che cosa poi far­sene.
Mettiamo che tra qualche me­se Matteo Renzi vinca la pro­pria personale battaglia contro Gianni Cuperlo (l’unico che lo infastidisca). Che accadrebbe? Nulla. Con l’attuale Parlamento una maggioranza diversa da quella esistente è un enigma. Le larghe intese non sono nate perché Pd e Pdl avessero la vo­ca­zione a stare insieme felici e con­tenti, bensì per cause di forza mag­giore. Un’alleanza diversa non era nemmeno ipotizzabile, dato che i grillini risposero picche alle avan­ce insistite di Bersani.

Dal giorno del «matrimonio» so­no trascorsi sei mesi abbondanti e nel frattempo non è successo nulla di nuovo, esclusa la condanna di Berlusconi e l’avvio della procedu­ra per farlo decadere da senatore. Se Renzi subentrasse a Epifani nel ruolo di segretario, quali prospetti­ve avrebbe davanti a sé? Continua­re a te­nere in piedi l’asfittico gover­no Letta oppure tentare di farlo ca­dere. La prima opzione costringe­rebbe i democratici a non corregge­re neanche una virgola del copio­ne che stanno recitando di malavo­glia, insofferenti come sono alla convivenza coi berlusconiani. E il partito non avrebbe alcuna chan­ce di rinfrescarsi rispetto a ora.
La seconda opzione offrirebbe due strade. La più naturale sareb­be quella che porta alle elezioni an­ticipate, ma non piace a Napolita­no. Il quale pur di evitarle farebbe carte false. Addirittura minacce­rebbe (lo ha già annunciato) di di­mettersi. Molto probabilmente egli cercherebbe di spingere Letta o un suo successore a costruire una maggioranza alternativa, cooptan­do
vendoliani e grillini disponibili all’avventura. Progetto non facile da realizzarsi, ma neppure impos­sibile perché non ci sono senatori né deputati che si rassegnino a cuor leggero a fare le valigie col ri­schio di non tornare più nel Palaz­zo. Se il disegno si concretizzasse, il Pd finirebbe dalla padella (Pdl) nella brace, perché andare a brac­cetto con Grillo è di sicuro più fati­coso che andarci col Cavaliere.
Soprattutto è inimmaginabile che il «rivoluzionario» Renzi riesca, con simili compagni di viaggio, a rin­novare il partito, dandogli le conno­tazioni moderne che egli vagheggia ogni qualvolta apre bocca. In circo­stanze come quelle attuali, sarebbe fisiologico recarsi alle urne. Sareb­be. Non lo è perché è opinione diffu­sa che con la
vigente legge elettora­le sortirebbe un risultato tale da non consentire la governabilità.
Inoltre, è risaputo che l’elettora­to italiano è spaccato in quattro tronconi: destra, sinistra, M5S e astensionisti. Per comporre una maggioranza saremmo ancora ob­bligati ad adottare la formula della coalizione che- è stato sperimenta­to - non funziona, non garantisce lunga durata né unità di intenti. Quindi non è vero che siano impor­tanti il dibattito e gli scontri in atto nel Pd, i cui destini non dipendono dalla scelta di un leader al posto di un altro. Ben altri sono i problemi.
Il nostro sistema istituzionale è vecchio e si è inceppato. Va rifor­mato. Ma chi è all’altezza di farlo? Si parla da tanto di Costituente,pe­rò non c’è un cane che si impegni in
questa direzione. Il quadro politi­co è confuso e si tratta di capire se la responsabilità di ciò sia dei partiti, che hanno perso la fiducia dei citta­dini, o dei cittadini stessi che non si ficcano in testa la necessità di schie­rarsi o di qua o di là, secondo i prin­cipi del bipolarismo. Il tutto aggra­vato dall’interminabile crisi econo­mica che, per essere affrontata, ri­chiederebbe compattezza, men­tre il Paese non è mai stato diviso quanto oggi. Se aggiungiamo che siamo sempre più schiavi dell’Eu­ropa e in condizioni di non essere padroni in casa nostra, coltivare l’ottimismo significa abbandonar­si alle illusioni.

Nel buio fitto, chi spera in Renzi sarà gabbato.

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