di Ezio Savino
Cognome: Nazareno. Nome: Gesù. Nato il 25/12/748 anno di Roma (Sesto a. C.), come suddito di Roma, sotto l'imperatore Cesare Augusto. Luogo di nascita: Bethlehem di Giudea. Cittadinanza: galilaica, sotto Erode Antipa. Residenza: Nazareth, casa di Joseph e Mariam; Cafarnao, casa di Simone Kefa (poi detto Pietro). Stato civile: celibe. Professione, il Messia, il Cristo. Traggo i dati da Le piaghe del Messia, di Giulio Giacometti e Piero Sessa.
Per i connotati, i due cristologi si avvalgono della Sacra Sindone: statura, m. 1,80. Capelli: lunghi e divisi davanti, con treccia sciolta sulla nuca secondo il costume nazareno. A completare la carta d'identità servirebbe una foto. Gli egittologi catalani annunciano di averne scoperto un probabile prototipo nella cripta copta di Ossirinco. Se è lui il Messia (lo stabiliranno gli studi, specialmente la traduzione delle scritte che circondano l'effige), è ritratto da ragazzo: capelli corti e ricci, occhi sgranati, la mano benedicente. La verità è che dell'aspetto fisico del Nazareno quasi nulla è noto.
I testi canonici sono reticenti in merito. C'è uno sporadico (e controverso) accenno nell'evangelista Luca, 19, che narra di una visita di Gesù a Gerico. Qui, ad attenderlo tra la folla, c'era il pubblicano Zaccheo. Ma non poteva scorgerlo «perché era piccolo di statura», così Zaccheo scalò il tronco di un sicomoro, per assicurarsi la visuale. La sintassi del testo greco non consente di stabilire chi sia il soggetto di quell'«era piccolo di statura»: Zaccheo o Cristo? Chi confida nella Sacra Sindone esclude la seconda alternativa. Imbarazzati dal mutismo delle fonti e infiammati di misticismo, i primi padri della Chiesa (Giustino, Clemente Alessandrino, Tertulliano) trassero le loro convinzioni fisiognomiche sul Redentore da una profezia di Isaia (53,2): «E noi lo vedemmo, e non aveva né faccia, né forma, né bellezza». L'esatto contrario dei sontuosi Cristi in technicolor, alla Jeffrey Hunter del Re dei re, o alla James Caviezel nella Passione di Cristo di Mel Gibson. Ma i pii esegeti erano stregati dal paradosso: un Gesù racchio e fisicamente informe confermava il primato assoluto dello spirito divino di cui quel corpo inguardabile era scrigno. Brutto fuori, ma splendido dentro. Gli scrittori patristici più tardi (Giovanni Crisostomo, San Girolamo) rigirarono la frittata. Basandosi sul Salmo 44, «bello d'aspetto oltre umano», coniarono l'effige del Cristo superstar. Ci fu anche un contemporaneo del Redentore che ne disegnò un identikit al millimetro. Era un sedicente funzionario di nome Lentulo, che assistette alla predicazione del Galileo e ne fu ammaliato, tanto da redigere un rapporto ufficiale al Senato di Roma. «È alto si statura» scrive nell'epistola «ben proporzionato. Occhi azzurri, vivaci, brillanti. Capelli con il colore delle noci di Sorrento molto mature, che discendono dritti fin quasi alle orecchie, più chiari e lucenti nei riccioli che ondeggiano sulle spalle. Barba abbondante, dello stesso colore dei capelli, leggermente biforcuta. Fronte liscia e serenissima, viso senza rughe o macchie, di un rosato deciso
». Sembrano le istruzioni per i futuri illustratori dei santini popolari. Il problema è che negli annali storici non c'è traccia di un Lentulo governatore, e lo scritto è considerato da molti apocrifo. All'inizio della storia cristiana pesò sull'iconografia del fondatore il tradizionale tabù ebraico per le immagini. Si rimediò con i simboli, tra cui spicca il pesce, il cui nome greco, ichthys è l'acronimo di Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore, in lingua ellenica. Caduti i divieti, le rappresentazioni di Gesù si moltiplicarono, cristallizzandosi in tipi. L'eredità d'arte pagana e classica era ineludibile.
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