Sono le lune dei sindaci, il loro grado di sensibilità e la loro personalissima soglia del pericolo, a tenere in pugno le nostre vite. È questa l'unica, inquietante certezza: nel già sbalestrato sistema di allarme nazionale, la vera criticità sta tutta lì. E non c'è modo di uscirne. Lo conferma e lo sottoscrive Ugo Cappellaci, a capo dell'isola più bella e più sinistrata del Mediterraneo, in questa intervista rilasciata con vista sul disastro.
L'idea che domenica l'allarme sia arrivato via fax nei municipi chiusi ha fatto saltare sulle sedie. È possibile che nel 2013 non esistano sistemi più efficienti?
«Voglio essere molto chiaro. Il sistema di allarme è certamente da rifare, ma non per colpa del fax. Il fax è tragicomico, come negarlo, ma per fortuna domenica non sono partiti solo i fax. Posso documentarlo, non ci sto ad uscirne in modo così grottesco. I fatti: la Protezione civile ci avverte alle 14,10 del pericolo. I fax partono tra le 15,39 e le 15,41. I Comuni che non lo ricevono vengono quindi avvertiti telefonicamente. Ma poi ci sono le comunicazioni vere. Tutti i sindaci vengono raggiunti singolarmente da Sms tra le 15,50 e le 15,58. A seguire, le mail: tra le 16,43 e le 17,08».
Perché allora morti e distruzione?
«A quel punto, siamo nelle mani del caso. Chi è prudente e scrupoloso si muove, magari beccandosi poi anche le maledizioni per un allarme finito nel nulla. Chi invece sottovaluta, o non valuta affatto, il pericolo, o è troppo sensibile alle reazioni dei cittadini seccati, se ne sta fermo. Questa è l'unica verità, così funziona il sistema».
In aggiunta c'è il resto, tutto il prima di qualsiasi disastro italiano.
«Esatto. E qui entra in gioco il cancro della burocrazia. Prendiamo il nostro esempio. Adesso il governo ci dà soldi e ci autorizza a sforare il patto di stabilità: benissimo, grande mossa. Però io dico: siamo anche paradossali. Perché la stessa possibilità di sforare il patto non ci viene data anche prima, per la prevenzione. Negli ultimi cinque anni la Sardegna ha stanziato 180 milioni contro il dissesto idrogeologico. Ma lo sa che poi spendere queste cifre e far partire le ruspe è terribilmente difficile, spesso impossibile?».
Voi politici locali siete accusati di gestione criminale del territorio.
«Dal passato abbiamo ereditato situazioni tremende. Il caso di Olbia è emblematico: ventuno condoni edilizi in quarant'anni per sanare ogni genere di abusivismo. Io però voglio assicurare ai sardi che oggi non sarebbe più possibile. La Sardegna ha un ottimo Piano di assetto idrogeologico, un ottimo Piano delle fasce fluviali, con norme molto serie. Però dobbiamo essere anche molto chiari, con gli italiani tutti: quando noi diciamo no alle costruzioni lungo i fiumi, ci ritroviamo i cittadini a protestare sotto le finestre, perché da una parte gridiamo contro le follie edilizie nelle zone pericolose, dall'altra gridiamo perché quei terreni perdono valore e non ci si può più guadagnare».
Dicono di lei che ha ridato via libera alla cementificazione selvaggia, dopo l'epoca virtuosa del feroce piano Soru.
«Su questo non accetto lezioni da nessuno. Il famoso Piano paesistico di Soru? È previsto che i Comuni vi si adeguino con un proprio piano urbanistico locale. Sa da allora quanti comuni l'hanno fatto? Sono 8 su 377. La ragione è semplice: il Piano di Soru era troppo complicato. Noi ci siamo limitati a modificarlo e a semplificarlo, correggendo anche seimila errori. Hanno persino il coraggio di raccontare che io ho reso più facile costruire lungo i fiumi. Cito il dato: prima il limite previsto era 150 metri dal centro del fiume, adesso è 150 metri dall'argine. Mi dica lei se ho peggiorato o migliorato il vincolo.
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