Dopo il ciclone Mose a Venezia è toto sindaco Orsoni sfida i democrat

Il primo cittadino indagato minaccia di correre da solo, ma il partito pensa alla successione. Ecco i papabili, da Casson all'outsider renziano

Dopo il ciclone Mose a Venezia è toto sindaco Orsoni sfida i democrat

Una cosa è certa nel grande caos del Pd investito dall'onda del Mose veneziano: se l'ex sindaco Giorgio Orsoni, «dimesso» a forza dal Pd, si candiderà davvero con una sua lista civica alle prossime comunali, dall'altra parte, quella dei suoi ex sostenitori politici, non si troverà più un professore. Dopo vent'anni di docenti universitari (Cacciari, Orsoni) e rettori (Costa), il Pd vuole cambiare. Basta professori, espressione dell'élite delle calli, quando poi il resto del comune veneziano (Mestre, Marghera) conta il triplo degli abitanti. Dentro un politico, con le primarie che inizieranno dopo l'estate. Il fatto è – racconta il segretario provinciale del Pd di Venezia, l'ex senatore Marco Stradiotto - che anche senza l'arresto, e poi il patteggiamento, e quindi le dimissioni, il Pd avrebbe dato l'arrivederci al prof Giorgio Orsoni. «Non era più un sindaco popolare tra i veneziani, lo vedevamo anche dai sondaggi, è il numero uno se devi scrivere una delibera, ma fare politica è un'altra cosa – dice Stradiotto - La regola è che un sindaco uscente si ricandida, ma nel caso di Orsoni avremmo chiesto di fare le primarie, che lui molto probabilmente avrebbe rifiutato». Può anche essere tattica di partito, per scaricare l'ex sindaco finito nello scandalo Mose, facendo capire che il flirt era già finito. Ma adesso, con il Comune che verrà presto (una ventina di giorni) commissariato, c'è da pensare al dopo. Che poi tanto dopo non è, perché a Venezia si voterà il nuovo sindaco nella prossima primavera – se non prima, ma è meno probabile - insieme alla tornata delle Regionali. E dunque c'è da pensare a come superare il trauma di un sindaco arrestato, e di un partito tirato in mezzo pesantemente nel giro di mazzette attorno al Consorzio Venezia Nuova. Dunque il toto nomi è già iniziato, mentre l'uscita di Orsoni (che alla Stampa dice «potrei ricandidarmi, ma senza i partiti») viene liquidata nel Pd come una fantasia di vendetta, più velletaria che altro. Cancellare la ferita, con chi? La regola non scritta a Venezia è che il sindaco sia veneziano. Il senatore Felice Casson è originario di Chioggia, ma da anni vive a Venezia e quindi rientra nella norma. È magistrato, quindi un profilo adatto all'occorrenza, anche se non è renziano (ma Renzi avrebbe il vantaggio di toglierselo di torno dal Senato, dove mette i bastoni tra le ruote). Lui per adesso dice «sto bene dove sto», ma il suo nome è dato tra i papabili. Altro nome è quello del veneziano Pier Paolo Baretta, sottosegretario all'Economia del governo Renzi (prima Letta), piddino ex Cisl, che rispetto a Casson ha un particolare che a Venezia conta: viene dal mondo cattolico (Azione cattolica), cosa che a Venezia pesa per il rapporto con il patriarcato. Altri nomi che girano escono dall'attuale giunta, cioè il vicesindaco Sandro Simionato, l'assessore Gianfranco Bettin, e poi un outsider, il giovane renziano Jacopo Molina, consigliere comunale (durissimo verso Orsoni nei giorni dello scandalo) e presidente dell'associazione renziana «Adesso».
Intanto l'inchiesta entra in una settimana molto importante. Decisiva per il consolidamento dell'impianto accusatorio, anche se forse meno suggestiva per i titoli dei giornali. I pm hanno già incassato alcuni risultati, accolti con soddisfazione in procura: la confessione di Orsoni, sia pure in stile Alice nel paese delle meraviglie, che ha ammesso i contributi illeciti e ha indirizzato verso il Pd l'attenzione degli inquirenti; parallelamente il tribunale del Riesame ha promosso l'indagine per quel che riguarda un personaggio chiave del Pd come Giampietro Marchese. Si aspettano ora le motivazioni. In questi giorni altre posizioni arriveranno al Riesame e dunque passeranno al vaglio dei giudici.


Da registrare infine la dura reazione di Enrico Letta agli articoli del Fatto quotidiano che ha scandagliato i contributi del Consorzio Venezia Nuova alla fondazione VeDrò, per il tramite di un'altra società. In totale, 60mila euro, peraltro perfettamente regolari. «Il Fatto - replica l'ex premier - mi infanga. Ho dato mandato ai miei legali di querelarlo».

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