Ma che occasione ma che affare... vendo Bagnoli chi la vuol comprare? Lo chiedeva nel 1989 Edoardo Bennato nell'album Abbi dubbi. E per decenni - senza dubbi - la risposta fu: «Nessuno vuol comprare Bagnoli». Di lì a qualche anno la crisi dell'Italsider avrebbe trasformato un litorale di sabbia e ruggine in terra di conquista. Bennato cantava lo scandalo di Bagnoli, che non stava bene a nessuno, eccetto ai clan. Degrado significava infatti controllo del territorio e solo attraverso quest'ultimo è possibile guadagnare: soldi sporchi che nessuno, meglio della camorra, riesce a gestire e moltiplicare. Anche per questo, quando alla fine degli anni '90 prende forma il progetto della Città della scienza (Cds), i boss non festeggiano ma neppure si «distraggono». Quella strana cittadella intellettuale li incuriosisce benché non ne afferrino compiutamente il senso, tanto lontana è la Cds da un banale centro commerciale cui chiedere il pizzo. L'accordo per la costruzione della Cds viene sottoscritto nel 1996: nell'arco dei 6 anni successivi si realizzano tutte le strutture che faranno di questa «creatura» ciò che sarà pomposamente ribattezzato come il «simbolo del nuovo Rinascimento napoletano». Per qualche anno le cose andranno anche bene: 300 mila visitatori all'anno non sono uno scherzo, e la gente che esce dai tecno-padiglioni sembra ammirata dallo spettacolo. Anche i clan, da lontano (ma neanche tanto), «ammirano» quel simbolo; lo studiano; per un certo periodo lo tollerano, senza porsi il problema di metterci su le mani. Ma anche senza la concorrenza sleale della camorra, il simbolo comincia a sgretolarsi: non per colpa di chi ci lavora, ma per (ir)responsabilità politica di chi dovrebbe dar loro la possibilità di continuare a lavorare nel migliore dei modi. La Cds accumula una massa enorme di crediti non onorati (da parte dello Stato) e debiti (nei riguardi dei fornitori e dei propri dipendenti) che - di fatto - mettono la Fondazione che gestisce la Città della scienza perfino nell'impossibilità di pagare gli stipendi. Insomma, la politica aveva fatto terra bruciata attorno alla Cds ben prima del rogo doloso che tre giorni fa l'ha completamente incenerita. Gli ultimi anni sono stati infatti anni di sprechi inauditi. Nel luglio 2005 la Regione Campania acquista la maggioranza della struttura, facendo diventare Città della Scienza società per azioni, soggetta ad attività di direzione e coordinamento della Regione Campania. Il presidente Bassolino spaccia l'operazione per un «fiore all'occhiello», in realtà è il colpo di grazia che trasforma la Cittadella di Bagnoli da polo scientifico a polo di lottizzazione politica. Il professor Vittorio Silvestrini, 74 anni, storico fondatore della Cds ha le idee chiare: «Proprio dove sorgevano i nostri padiglioni è previsto il progetto per un mega porto turistico da 400 posti barca. Un business enorme che fa gola a tanti». Camorra in testa. Ma Silvestrini non si rassegna: «La Città della scienza rinascerà proprio qui e sarà più bella di prima». Parole condivise dal ministro dell'Interno Cancellieri, ieri ospite a Bruxelles della Ues: «Quanto è accaduto alla Città della Scienza è un fatto che ha colpito molto, non solo Napoli, ma ha ferito tutto il Paese. Spero che si possa la più presto ricostruire. La dolosità criminale dell'incendio è stata accertata, sapremo reagire con durezza e rapidità». Sempre che la classe politica campana non torni a rimettere il bastone tra le ruote voglia. A tal proposito restano d'attualità le parole di Massimo di Dato, architetto e urbanista, che con l'Assise di Bagnoli ha sempre seguito le sorti della CdS: «La Cds - denunciava qualche tempo fa su Libera informazione Flegrea - è da anni una delle società partecipate locali più in rosso, che assorbe milioni di euro senza riuscire nemmeno a garantire gli stipendi di dipendenti e consulenti»; e poi: «Ha svolto un ruolo discutibile nell'ambito del sistema di potere del centrosinistra, sia assumendo decine di collaboratori (molti in area Rifondazione, oggi Sel), sia ospitando nei suoi locali attività politiche e sindacali di ogni colore (incluso quel PdL, che in pubblico l'ha sempre criticata come un carrozzone bassoliniano"». L'ultimo anno è stato un anno di agonia.
I boss, intanto, hanno smesso di «studiare». Quell'area di Bagnoli - oggi - serve a loro. Il «simbolo del nuovo Rinascimento napoletano» doveva quindi essere bruciato.Per certe speculazioni criminali, niente di meglio che tornare al Medio Evo.
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