Roma - Tre milioni e mezzo di voti, circa il 10% dell'elettorato. «Parliamo del marchio Berlusconi, del brand, come la Ferrari o il tonno Rio Mare». Il sondaggista Nicola Piepoli non fa molta differenza, sul piano del marketing politico-elettorale, tra tonni in scatola e leader o simboli politici. E secondo lui il valore del logo «Berlusconi», come marchio di fabbrica, nonostante processi, scandali, polemiche e condanne, non ha ancora paragoni nel supermarket della politica italiana. «Berlusconi, piaccia o dispiaccia, è l'unico brand, l'unico marchio individuale che attualmente ha questo valore in Italia». Se si pensa alle estenuanti battaglie, tra carte bollate e ricorsi in tribunale, per la proprietà dello scudo crociato, lo storico brand della Democrazia cristiana, che per i sondaggisti non vale più dell'1,5% dei voti, si inquadra meglio la faccenda. «Il simbolo Dc è un marchio puro, come l'Amaro Averna, mentre il marchio Berlusconi è analogico, cioè è collegato ad una persona. Questo non significa che la forza del brand non si possa trasmettere anche ad un altro Berlusconi in politica, ad esempio la figlia Marina. Il marchio manterrebbe la sua forza, almeno per la seconda generazione. Anche se non credo che Marina scenderà in politica, ma questo è un altro discorso».
Nella classifica dei «cervelli», cioè delle personalità pubbliche capaci di creare consenso attorno a sé, l'Istituto Piepoli piazza Berlusconi molto in alto, tra i primi dieci («in politica è davanti agli altri»), forza che si riverbera sul marchio secondo il sondaggista. Obiezione: ma è un brand condannato per frode in Cassazione. «Alla maggioranza degli italiani questo non interessa, pensano che il processo di Berlusconi non riguardi loro ma lui e che non abbia conseguenze sul Paese ma solo per la persona di Berlusconi. Quelli a cui importa sono elettori che non lo voterebbero mai. Pensi al brand Ferrari. Se scoppiasse un guaio giudiziario per l'azienda di Maranello, il marchio Ferrari non perderebbe il suo grande fascino. Stessa cosa vale per Berlusconi». L'analisi dell'Istituto Piepoli poggia su un «esperimento in vitro», così lo chiama l'immaginifico sondaggista torinese, cioè il differenziale tra il peso elettorale del centrodestra senza Berlusconi a novembre 2012 (circa 15%), e il risultato delle elezioni a febbraio 2013, con il brand (e anche la persona) Berlusconi di nuovo in campo (25%). Appunto dieci punti, che sarebbe il plusvalore del brand berlusconiano. O il minusvalore di un centrodestra «democratico ed europeo», cioè senza marchio Berlusconi, come quello auspicato da Scalfari su Repubblica («Quagliariello, Cicchitto, Lupi e altri stanno lavorando a questo progetto, vanno incoraggiati»). «Chi vuole espellere il brand Berlusconi dalla politica sa benissimo che, se ci riuscisse, eliminerebbe qualcosa di inaffondabile finché c'è. Qualcosa che è legato all'incredibile capacità comunicativa di Berlusconi, che per noi significa saper leggere la realtà e saperla trasmettere agli altri. Berlusconi è uno che comunica in maniera assoluta. A tavola con altri colleghi ci raccontavamo alcuni fatti capitati a noi nella comunicazione di Berlusconi. A me per esempio». E qui Piepoli si abbandona ad un aneddoto: «Una volta sono andato a trovarlo a Palazzo Chigi, invitato da Bonaiuti che era il mio cliente. Lì Berlusconi mi propone l'ultima cosa che mi sarei mai aspettato a Palazzo Chigi. Mi porta in un salottino e mi fa vedere, fatto nel '700 all'epoca dei principi Chigi, quello che nelle ricerche di mercato è noto come il One-way-mirror, lo specchio dei guardoni, ha presente?» (Piepoli ci coglie impreparati, ma poi si spiega meglio). «È uno specchio attraverso cui noi osserviamo, senza essere visti, il comportamento degli intervistati nei focus group. Nel '700 aveva un'altra funzione, era usato dai voyeur, dai guardoni.
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