Anche per Twitter è finita l'età dell'innocenza. Con il cinguettio per l'ufficialissimo annuncio, peraltro molto atteso, della salita in politica di Monti si è conclusa l'èra pionieristica del social network più cult del momento. Immediata la levata di scudi. Teniamo Twitter fuori dalla campagna elettorale, invocano in tanti. No, non è uno strumento qualunquista, ribattono altri.
Se usando il social l'«uomo dell'Agenda» voleva trasmettere un segnale di modernità e di understatement, alla fine si è dimostrato solo un tantino cheap. Per qualcuno il suo tweet è stato troppo formale. Per qualcun altro invece troppo gergale (con uso di «grammatica twittarol-bimbominkia tipico della rete»). In realtà, l'elemento rivelatore dell'account montiano è la cifra zero sotto la casella following. Cioè: lui non segue nessuno e siamo noi a doverlo seguire. Un debutto asociale nel social.
Ma dispute su sintassi e galateo a parte, ciò che qui più conta è segnalare il salto di qualità in basso del microblog. È vero, i politici cinguettano da tempo e nei modi più diversi. Ma finora si era rimasti nell'àmbito dell'opinione e del privato. Durante il duello Renzi-Bersani Twitter era il panel qualificato di un sondaggio in tempo reale.
Oltre la politica, è stato una specie di Stato libero del cazzeggio intelligente. E sanamente selvaggio. Con l'approdo ai titoli del Tg1 quell'epopea volge al tramonto. Anche qui vanno in scena i riti della politica. Il Tg1 ha scoperto Twitter: venderemo cara la pelle.Twitter@MCaverzan
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