Politica

E Napolitano spinge Enrico a metterci la faccia

Il consiglio del Quirinale: siediti in aula accanto al tuo ministro dell'Interno

Napolitano poco dopo un controllo medico all'Istituto dermatologico San Carlo
Napolitano poco dopo un controllo medico all'Istituto dermatologico San Carlo

Roma - «Enrico, al Senato vacci pure tu. Stavolta ti devi esporre personalmente». A Palazzo Chigi, si sa, i consigli del Colle sono sempre tenuti nella massima considerazione ma questo verrà seguito alla lettera. Dunque venerdì vedremo il premier a Palazzo Madama, seduto accanto al suo ministro dell'Interno, per legare anche visivamente i destini di Alfano e del governo. Nel frattempo Giorgio Napolitano provvederà a stendere una rate di protezione attorno all'esecutivo: oggi, ricevendo la stampa al Quirinale per la cerimonia del Ventaglio, spiegherà che in questo momento non ci possiamo proprio permettere una crisi al buio. E siccome il caso Shalabayeva ha un aspetto internazionale non secondario, in serata il capo dello Stato convoca Emma Bonino e, tra Europa, Agenzia Onu dei rifugiati e Kazakistan, si fa fare un quadro aggiornato della situazione.

Quindi, forza Letta, mettici la faccia. Questo è il senso dell'invito presidenziale che ha fatto cambiare la strategia del premier, che gli ha fatto dire che «dalla relazione del capo della polizia emerge l'estraneità di Angelino» e che lo ha spinto a sfidare il suo partito. «Vedremo se affosseranno un governo guidato da uno del Pd».

Eccolo il punto chiave. A Largo del Nazareno probabilmente non hanno la forza e nemmeno la voglia di far cadere Enrico Letta, l'unico interessato andare presto al voto potrebbe essere Matteo Renzi. Però il malessere del corpaccione democrat è tanto e la capacità di resistere alla pressioni della base molto scarsa. La domanda è: il Partito democratico, in calo nei sondaggi e assediato da Sel e grillino, riuscirà a reggere?

E se lo chiedono pure sul Colle, dove infatti a lungo è stata esaminata l'altra ipotesi, le dimissioni del ministro dell'Interno. In fondo, ricordano, la storia repubblicana è piena di cambi in corsa, di rimpasti, di abbandoni. Lo stesso Letta, a due mesi dal giuramento, ha già perso un pezzo, Josefa Idem, travolta dall'irregolarità della sua palestra. Se Alfano gettasse la spugna, come chiedono dal Pd, il clima di potrebbe stemperare.

Ma la strada si è ben presto rivelata politicamente impraticabile. Innanzitutto c'è il no secco di Silvio Berlusconi: «Alfano non ha colpe e non si tocca». E poi, come rammentano alcuni esperti funzionari del Quirinale, quando si parte con un rimpasto si sa dove cominci ma non dove finisci perché il governo e come il gioco dello Shangai. Se togli un'asticella si muove tutto e il quadro non si ricompone più.

Allora, se così stanno le cose, è bene che Letta difenda Alfano perché, al di là di ogni altra considerazione, quello che conta è il bene comune. «Vorrei vedere - ha detto qualche giorno fa il capo dello Stato - un po' più di continuità dell'istituzione governo, al quale vanno assicurate condizioni minime di serenità». La stabilità «è un valore», peccato però che il nostro sia un Paese che ha «il record mondiale delle turbolenze». Concetti per forse ripeterà stamattina quando vedrà i giornalisti per i tradizionali auguri di buone vacanze.

Il Cavaliere ne è convinto: «Il presidente ha a cuore la tenuta del governo nell'interesse dei cittadini».

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