L' imposta sulla proprietà immobiliare è da mesi al centro dell'agenda politica. Ricostruire la storia e ricordare i principali termini del problema sembra un esercizio, se non doveroso, almeno utile. Facciamo chiarezza.
La storia dell'Imu inizia nel luglio del 1992, quando il governo di Giuliano Amato affianca al prelievo notturno del 6 per mille sui conti correnti anche l'imposta straordinaria sugli immobili. La chiama Isi e la quantifica nel 3 per mille della rendita catastale rivalutata. Prelievo sui conti correnti e Isi fruttano, insieme, circa 6 miliardi di euro. Pochi mesi dopo, l'Isi diventa Ici, il cui gettito è di esclusiva competenza dei Comuni: per la prima casa la detrazione è di poco più di 100 euro, che i Comuni possono aumentare. Nel 2007 il gettito frutta circa 11 miliardi di euro, di cui 2,8 miliardi dalla prima casa. La legge finanziaria per il 2008 del governo di Romano Prodi aumenta le detrazioni per la casa di abitazione fino a circa 300 euro. Di fatto si azzera l'Ici per il 40% delle famiglie che abitano in una casa di proprietà, con un costo di 1 miliardo di euro. Nel maggio del 2008, il governo di Silvio Berlusconi abolisce l'Ici per le prime case, escludendo dall'esenzione le abitazioni di lusso. Il costo aggiuntivo rispetto alla finanziaria di Prodi è di 1,8 miliardi di euro, interamente compensati ai Comuni grazie ad una operazione di contenimento della spesa pubblica. Infine, con il decreto sul Federalismo fiscale, a marzo 2011 il quarto governo Berlusconi avvia la razionalizzazione della fiscalità immobiliare: dall'Irpef immobiliare alla tassa sugli affitti, dai tributi catastali alle tasse di registro e ipotecarie. A dicembre 2011, il governo di Mario Monti, con il decreto cosiddetto «Salva Italia», introduce l'Imu anche sulla prima casa e ne anticipa ulteriormente l'applicazione «in via sperimentale» già dal 2012. Gli effetti, negativi, sono immediati.
L'introduzione dell'Imu da parte del governo tecnico deprime la nostra economia: nel 2012, le compravendite immobiliari si sono ridotte del 23,7% (dati Istat; del 29,6% stando alle rilevazioni dell'Agenzia del Territorio); i mutui del 39.5% (dati Cgia di Mestre); la produzione nelle costruzioni è diminuita del 13,6% (dati Istat) e gli investimenti del 7,6% (dati Ance); le ore lavorate in edilizia sono diminuite del 13,8% (dati Casse Edili) e i posti di lavoro nel settore edile del 5% (dati Ance).
Inoltre, la tesi del governo Monti, secondo cui la pressione fiscale italiana sugli immobili fino al 2011 rappresentava un'anomalia, in quanto troppo bassa, rispetto alla media dei principali paesi europei, è infondata: nel 2010 l'Italia aveva una tassazione patrimoniale diretta della proprietà immobiliare dello 0,70% del Pil, perfettamente in linea con lo 0,69% della media dei paesi Ocse. Dopo l'introduzione dell'Imu, la percentuale è aumentata all'1,35% del Pil.
Nell'incongruo sistema fiscale italiano, l'imposizione sugli immobili presenta il massimo delle contraddizioni. La casa è tassata nel momento del possesso (Imu) e nel momento della sua vendita (imposta di registro e imposte ipotecarie). Inoltre, per le società edili, l'Imu colpisce anche l'invenduto e l'Iva non viene compensata se la vendita da parte del costruttore avviene dopo 5 anni l'ultimazione dell'edificio.
Tornando al blocco delle compravendite di immobili in Italia, secondo i calcoli di Confedilizia, una riduzione di circa il 30% nel 2012 rispetto al 2011 corrisponde, in termini assoluti, a 250.000 unità. Tale riduzione ha comportato un minor reddito prodotto in Italia di 8-10 miliardi di euro. Tutto ciò senza considerare che in Italia vi sono tra 700.000 e 800.000 immobili bisognosi di ristrutturazione e che potrebbero essere oggetto di lavori per almeno altri 7 miliardi di euro. Ne deriva che nel 2012, otto-dieci miliardi derivanti dalla riduzione del numero delle compravendite più sette miliardi di mancate ristrutturazioni hanno prodotto una contrazione della nostra economia, nel solo settore immobiliare, pari a un punto di Pil.
Le abitazioni in Italia sono 33,4 milioni, di cui: 14,4 milioni sono l'abitazione principale; 5,9 milioni sono abitazioni utilizzate anche per attività professionale; ad uso promiscuo; 5,2 milioni sono abitazioni locate; 6,5 milioni sono abitazioni sfitte; 1,3 milioni sono abitazioni concesse in comodato gratuito a parenti. Il valore stimato di mercato delle abitazioni è prossimo a 6.000 miliardi di euro (circa 4 volte il Pil nazionale) mentre la rendita catastale complessiva supera di poco i 20 miliardi di euro. Oltre il 90% delle abitazioni è di proprietà di persone fisiche, il restante 10% è di proprietà di società.
La superficie abitativa di proprietà di soggetti diversi dalle persone fisiche è pari a circa l'8% della superficie complessiva: immaginare la presenza di un grande fratello immobiliare è una sciocchezza. Colpire gli immobili significa sempre e solo colpire le famiglie, sia proprietarie che in affitto. La lettura dei versamenti Imu del 2012 nei singoli comuni dimostra come il complesso della fiscalità immobiliare vada rivisto fin dalla radice. A Roma il versamento medio di oltre un milione di famiglie è di 537 euro: quasi il doppio di Milano (292 euro) e il 44% in più di Cortina d'Ampezzo (375 euro). Non sembrano necessari altri dati per dimostrare la non equità di questa imposta per le abitazioni.
Riguardo alle abitazioni, la maggior parte è destinata alla residenza delle famiglie: 64,4% sono abitazioni principali, 16% le cosiddette «seconde case», l'8,9% è dato in locazione, un ulteriore 2,8% è costituito da abitazioni date in uso gratuito a un proprio familiare che vi «dimori abitualmente». Ipotizzando che ad ogni abitazione principale corrisponda una famiglia, risulta che il 78,2% delle famiglie risiede in abitazioni di sua proprietà.
Eliminare l'Imu sulla prima casa, dunque, non è una politica economica a favore di pochi «ricchi» possessori di case, per i quali invece sarà mantenuta, ma più semplicemente riportare una briciola di equità nel regime fiscale delle abitazioni e, attraverso questa, sostenere i consumi delle famiglie e dell'economia in generale.
Lo stock immobiliare non residenziale è poi caratterizzato da una rilevante quota di negozi e botteghe, per l'80% circa di proprietà delle persone fisiche, di uffici e di immobili a destinazione produttiva (opifici, industrie, grandi strutture del terziario e del commerciale) che, seppure poco numerose (1,2 milioni di unità, circa il 2% del totale), corrispondono ad un ammontare di rendita assai elevata, pari al 28% circa del totale. Non appare quindi in alcun modo sostenibile neanche l'ipotesi di spostare l'Imu sugli immobili diversi dalle abitazioni, specie se si considera l'aggravio già introdotto con il decreto Salva Italia sia rispetto alla precedente Ici sia, ulteriormente, per il 2013 rispetto al 2012.
L'eliminazione dell'Imu sulla prima casa dal 2013 e la restituzione di quella versata nel 2012 farà ripartire, da subito, la domanda, i consumi, e con essi il settore edilizio, il mercato immobiliare e tutto l'indotto, anche con riferimento agli affitti. Noi siamo fermi su questo punto per precisi valori economici: l'economia può ripartire solo in un quadro di aspettative positive.
Liberare da adesso 2-3 miliardi con l'Imu aumenta il reddito disponibile delle famiglie che, in un clima di fiducia, spenderanno di più, piuttosto che risparmiare a scopo precauzionale, come avviene quando si ha incertezza o paura del futuro.
Le risorse per eliminare l'Imu sulla prima casa ci sono, a partire da quelle necessarie per coprire il minor gettito derivante dalla sospensione della rata di giugno 2013, in vista della complessiva riforma della tassazione degli immobili in Italia.
Nel 2012 il governo dei tecnici ha chiesto ai contribuenti, con l'Imu, 20 miliardi per far fronte alla difficile situazione finanziaria. A consuntivo, invece, le entrate sono state pari a circa 24 miliardi, con un extragettito di 4 miliardi. Di questo, solo una parte è stato inserito nel tendenziale di finanza pubblica.
Pertanto, l'extragettito di 4 miliardi è stato utilizzato solo in parte: per il 2012 restano 1,5 miliardi che non sono stati contabilizzati e che quindi potrebbero essere utilizzati ai fini della copertura, unitamente al miliardo del 2013 (totale 2,5 miliardi) per la sospensione del pagamento della rata di giugno dell'Imu prima casa, il cui gettito ammonta a meno di 2 miliardi.Solo con una terapia d'urto di questo tipo si può finalmente invertire la rotta e innescare un circolo virtuoso di crescita, in Italia e in Europa. Da che parte vogliamo stare?
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