RomaAveva due frecce da tirare e lo ha fatto appena ha potuto nella conferenza stampa rimandata di due ore per la calca dei cronisti, dopo la sceneggiata del giorno prima sul Cosentino «scappato con le liste del Pdl» («Ma quando mai, un'invenzione dei giornali ossessionati dal mostro!»). Prima frecciata al segretario del Pdl Alfano, quello che più ha influito su Berlusconi nella decisione finale di tenerlo fuori dalle liste in Campania. «Alfano? Non ho nulla contro la categoria dei perdenti di successo» gli ha sparato contro l'ex coordinatore campano del Pdl. In serata la replica del segretario Pdl: «Non sono pronto a pagare qualsiasi prezzo pur di vincere». L'altra cartuccia per il finiano Italo Bocchino: «L'unico referente vero dei casalesi è Bocchino, perché nel 1996 è stato eletto nel collegio di Casal di Principe, mentre io ero candidato a Piedimonte Matese, dove non la camorra non c'è», precisando però che quando parla di riferimento ai casalesi «mi riferisco alla parte buona che c'è nella stragrande maggioranza dei cittadini di Casal di Principe, le fortune politiche di Bocchino sono iniziate da lì». Replica di Bocchino: «Mai stato sfiorato da inchieste».
Ci sarebbe anche un terzo colpo, stavolta per Stefano Caldoro, governatore campano e suo storico rivale («Adesso non potrà più giocare al buono e al cattivo»), ma Cosentino sembra aver accettato la decisione del Pdl di non ricandidarlo, anche se è chiara la sua mappa di nemici e amici dentro il partito. Il primo di questi ultimi è Berlusconi, «persona straordinaria con cui c'è un vincolo di stima e di amicizia», anche lui un «perseguitato da una parte della magistratura», come è convinto di essere Cosentino. Ma la scelta del Pdl alla fine gli è chiara: «Non mi sento maltrattato né un capro espiatorio, ho compreso le esigenze del partito. Si è voluta evitare una strumentalizzazione forte in campagna elettorale. Accetto senza nessuna polemica. Se può servire a prendere qualche voto in più e battere queste sinistre, va bene». Il focus citato da Cosentino, e che ha pesato nelle decisioni di Palazzo Grazioli, dice che un Pdl con Cosentino prende più voti in Campania ma meno al Nord, e quindi elettoralmente non conveniva candidarlo, anche perché avrebbe consegnato un'arma nelle mani del centrosinistra.
Da «semplice cittadino» si occuperà della propria difesa nei processi, con i pm che hanno chiesto già due volte il suo arresto cautelare. «Vorrei andare in galera ma a fronte di una sentenza, perché dovrei andarci se oggi, come cittadino comune, non ho più potere di condizionare? Se ci vado è perché siamo in un Paese non civile, e se ci vado ci vado con la mia dignità. Chiedo un processo immediato». Il deputato del Pdl è accusato dai pm di essere il referente politico dei clan camorristici. «Questi casalesi sono un clan di fessi se hanno come referente uno che prima si dimette da sottosegretario e poi nemmeno lo candidano. L'unica elezione che ho fatto fuori dal listino bloccato, da candidato alla Provincia di Caserta, con le preferenze, l'ho persa. La verità è che pago per aver ribaltato una regione rossa facendo vincere il centrodestra. Non mi sarei dovuto impegnare così tanto. A me hanno insegnato che la camorra si avvicina a chi ha potere, e allora perché la magistratura non si è chiesta come faceva Bassolino ad essere eletto con l'80% dei voti anche a Scampia e a Ponticelli?». In sala gli ricordano che suo fratello è sposato con la sorella di un boss: «Ma che c'entro io se uno dei miei otto fratelli si è fidanzato a 16 anni e poi sposato con una ragazza il cui fratello, che allora aveva 13 anni, poi da grande ha fatto il camorrista?». Dice di aver «lottato fino alla fine per essere candidato» nel Pdl, ma di aver ricevuto molte offerte da altri partiti e di aver detto no («non vendo la mia dignità per l'immunità»). Nega del tutto i retroscena sulla sua fuga con le liste: «Si è montato un caso per evitare che ci potesse essere un mio ritorno in campo.
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