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Costa Concordia, la rabbia e il ricordo

Costa Concordia, la rabbia e il ricordo

Ieri al Giglio è stata la giornata del ricordo e del dolore, quello di un anno fa quando la sera del 13 gennaio, alle dieci meno un quarto, la Concordia ha urtato e trascinato con sé un piccolo scoglio del gruppo delle Scole, che le ha squarciato lo scafo per cinquanta metri. Quel piccolo scoglio è rimasto nel fianco immenso della nave da crociera per mesi: il relitto ancora mezzo inabissato, che ogni giorno rimanda alla memoria le trentadue persone morte quella notte, i feriti, la paura, la solidarietà della gente del Giglio che aveva subito accolto i naufraghi nella chiesa dei Santi Lorenzo e Mamiliano al Porto.
È in questa chiesa che ieri mattina i familiari delle vittime, gli abitanti del Giglio e le autorità si sono raccolti per la Messa per il primo anniversario della tragedia, celebrata dall'arcivescovo Guglielmo Borghetti. C'erano il ministro dell'Ambiente Clini, il prefetto di Grosseto Valentini, il capo della protezione civile Gabrielli, il presidente della Toscana Rossi, gli ambasciatori di Francia e Germania e il console americano a Firenze e poi rappresentanti di Costa Crociere. In chiesa c'era anche il comandante De Falco, l'uomo del «vada a bordo, c...!», che si è schermito: «Non mi sento un eroe, ho fatto solo il mio dovere». Il marito di Maria Grazia Tricarico (il corpo della moglie è uno dei due mai ritrovati) ha voluto abbracciare e ringraziare De Falco: «Speravo di incontrarla, in Italia c'è bisogno di gente come lei». Nessuno sentiva il bisogno di ricordare l'altro, l'innominabile: il comandante Schettino. Le celebrazioni al Giglio, lui lontano, con un'intervista registrata che gli ha garantito la presenza in tv, a Domenica In: il grande accusato di quella notte che, a un anno di distanza ha provato di nuovo ad argomentare, a difendersi, a sostenere la sua versione dei fatti. «Se il timoniere avesse capito bene, la nave sarebbe passata senza che succedesse nulla»; a un certo punto ha guardato fuori dal «finestrone» della plancia e «c'era la montagna di fronte, andavamo dritti verso la montagna, chi è preposto al radar doveva dire che c'era la terra di fronte». Ha insistito che «non era un inchino ma un passaggio pianificato con la Costa» e che lui sia stato «l'ultimo a uscire dalla nave, dal lato sommerso»; e che «se avessimo fatto l'abbandono nave in mare, la nave si sarebbe inabissata verso le 23, invece abbiamo avuto un'ora e un quarto in più per fare lo sbarco».
Schettino parlava, da lontano, con l'eco del dolore che «non va esibito, è qualcosa che ci portiamo dentro» e intanto al Giglio i familiari delle vittime da un traghetto gettavano gerbere e gigli bianchi in mare (tutti tranne la mamma della piccola Dayana, che si è sentita male prima di salire) mentre l'argano di un rimorchiatore rimetteva in acqua lo scoglio dell'incidente. All'inizio volevano usare la pietra per un monumento, poi hanno pensato così: come dire che tutto «torna al suo posto». Sono suonate le sirene, per trentadue volte. Ci sono stati concerti, l'inaugurazione di una targa, il messaggio di Napolitano «commosso». Alle nove e tre quarti, come un anno fa, un minuto di silenzio.

Si sono fermati anche gli uomini a bordo della Concordia, che ancora lavorano per spostare il relitto dalle acque del Giglio.

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