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La crescita uccisa dai cavilli Senza riforme addio impresa

Con il blocco giudiziario agli 8,1 miliardi alla famiglia Riva si è tolta al gruppo Ilva la capacità di investire e fare business

Panoramica dello stabilimento Ilva di Taranto
Panoramica dello stabilimento Ilva di Taranto

La stabilità di governo serve, se è utilizzata per fare le riforme. È dannosa se le blocca. Il bollettino della Bce, la Banca centrale europea pone in prima linea, fra i problemi della crescita, quello della mancata riforma del mercato lavoro per assicurargli la flessibilità. Ora esso l'ha in Spagna, la quale sta crescendo. Non in Italia. E senza crescita il peso del nostro debito pubblico è eccessivo.
Contro la crescita c'è anche l'arbitrio della magistratura, in cui fa spicco il caso Ilva. La chiusura degli stabilimenti per 1.402 addetti è solo l'inizio di una tragedia annunciata. I posti a rischio sono 40mila: a Taranto, ove c'è la più grande acciaieria europea con 15mila addetti, e in altri parti di Italia negli stabilimenti collegati. La magistratura, sequestrando sino a 8,1 miliardi di beni della famiglia Riva e del suo gruppo, le ha tolto le fonti finanziarie e la capacità di fare impresa. Dal 24 maggio, giorno del sequestro il governo, in particolare il ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato aveva davanti a sé il dossier. Ma non ha fatto nulla. L'ex ministro dell'Ambiente Corrado Clini aveva avuto il coraggio di emanare un decreto che limitava i poteri della magistratura, con riguardo a misure amministrative di presunta tutela ambientale, che pregiudicavano la continuità produttiva, come il sequestro dell'acciaio già prodotto. Il giudice di Taranto aveva ricorso alla Corte costituzionale per una presunta usurpazione di potere del governo. Questa si sarebbe attuata «sovrapponendo, in chiave di sostituzione-neutralizzazione, agli effetti dei provvedimenti giudiziari, le proprie autorizzazioni in favore dell'Ilva a proseguire in ogni caso nell'attività produttiva e a commercializzare i prodotti compresi quelli sottoposti a sequestro preventivo». La Corte costituzionale aveva dichiarato legittimo il decreto. E l'Ilva ha potuto riprendere la produzione a Taranto.
Ma il nuovo sequestro per una cifra enorme (questa volta di risorse finanziarie della famiglia Riva, non solo dello stabilimento di Taranto), in relazione a un danno presunto da essa causato - prima ancora che si accerti la sua responsabilità nell'averlo causato - di fatto impedisce l'operatività del gruppo e l'accesso al credito degli azionisti. Come si fa ad attribuire al ragionier Riva padre e al ragionier Riva figlio la responsabilità di un danno che può risalire a impianti precedenti e non a quelli adottati dal gruppo Riva? E come si può attribuire all'azionista il danno casato dagli impianti in cui essa ha investito, sulla base del teorema «non poteva non sapere?». Allora si potrebbe incolpare il sindaco che ha consentito che si abitasse vicino allo stabilimento anziché disporre che gli abitanti delle case contigue dovessero andare altrove.
Il dato di fatto, comunque, è che con questo sequestro la struttura finanziaria dell'Ilva è distrutta. E quindi anche la possibilità che l'azienda possa pagare indennizzi alle famiglie è pregiudicata. Il sequestro preventivo è una misura giustizialista che distrugge ricchezza. Dunque è dannoso non solo all'economia nazionale e a quella regionale e all'occupazione. È dannoso alla finanza pubblica, oberata da altra cassa integrazione. È dannoso anche per i risarcimenti dei danni. Riflettendo su questo caso, si mette meglio a fuoco il danno che l'Italia subisce mediante le tesi giustizialiste a carico di Berlusconi. Ma attenzione anche la Fiat guidata da Marchionne può lasciare l'Italia perché il Pd non vuole una legge che risponda all'esigenza di flessibilità del lavoro. E il gruppo ThyssenKrupp sta chiudendo aziende in Piemonte perché il capo è stato condannato col teorema che non poteva non sapere. La stabilità da sola, se non si fanno le riforme, è controproducente.

Genera ristagno e declino: di stabilità si può morire.

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