Roma - Il giorno dopo, la «pazza idea» di Silvio Berlusconi di stampare moneta qualora la Bce continui a tenere il piede sul freno, continua a suscitare fibrillazioni dentro il Pdl. La battuta «intra moenia» del presidente del partito svela un’esigenza sentita ormai da larga parte di Via dell’Umiltà: fare chiarezza rispetto al sostegno al governo Monti e prendere una direzione precisa, quale che sia, a otto, nove mesi dalla scadenza reale del suo mandato. «È arrivato il momento di prendere una decisione» è la parola d’ordine che si ascolta ai piani alti di Via dell’Umiltà. «Non possiamo arrivare a settembre a colpi di stop and go, di strappi e ricuciture. In questo modo andiamo a sbattere e non siamo riconoscibili».
L’idea è quella di sfruttare l’affondo di Berlusconi in sede di trattativa, comunicare a Monti che quel grido d’allarme è anche una indicazione politica e mettere il premier alle strette sulla necessità di una svolta sui grandi temi, quali quelli ruolo della Bce o gli eurobond. «La sua provocazione ha messo tutti davanti alle proprie responsabilità» spiega Fabrizio Cicchitto. «Ha alzato il tiro per dare una scossa. Il suo è una sorta di ultimatum rispetto alla difesa degli interessi italiani in Europa» aggiunge Mariastella Gelmini. «Berlusconi» chiosa Ignazio La Russa «sostiene che serve una banca europea di riferimento all’euro. Su questo c’è una profonda differenza con Monti». «L’approccio deve essere deciso» aggiunge Raffaele Fitto. «La nostra proposta di compensazione tra debiti fiscali e crediti con la Pubblica amministrazione venne accolta da ironie anche sdegnate. Poi quella misura è stata adottata. Oggi dobbiamo con urgenza stabilire una linea a perseguirla fino in fondo».
Il punto è che l’orizzonte «comunicativo» non può bastare. «Se Berlusconi si assume il compito di intercettare il malcontento e tornare a immaginare parole e idee gradite a un elettorato deluso che ha bisogno di tornare a credere, fa un grande servizio al Pdl» spiega un dirigente del partito. «Il barometro non segna disimpegno da parte sua. Ma il tempo stringe e per chi va sul territorio diventa difficile spiegare le nostre scelte». In questo quadro la partita delle alleanze diventa fondamentale. Un match che si sviluppa su ritmi blandi, in una sorta di guerra di nervi a distanza. Nel Pdl la convinzione è che sia Pier Ferdinando Casini che Luca di Montezemolo vogliano restare alla finestra fino all’ultimo, contando sulla possibile implosione del Pdl. La possibilità di ricomporre il mosaico dei moderati, con Via dell’Umiltà centrale nel progetto, dipende quindi dalla capacità della classe dirigente di tenere il partito compatto, senza fughe in avanti da parte dei tanti parlamentari che iniziano a concentrarsi sulle basse probabilità di rielezione e si guardano attorno confusamente. Naturalmente c’è anche un «piano B». Sì, perché qualora il filo della trattativa non dovesse produrre un tessuto forte e credibile, non è pensabile che il Pdl possa continuare ad appoggiare il governo fino alla scadenza naturale del mandato, consegnandosi alle urne e alla conseguente scarnificazione elettorale. Anche per questo entro l’estate bisognerà chiarire tutto. E valutare se l’officina dei moderati o in subordine una federazione modello Casa delle libertà possa davvero prendere forma. Sicuramente si registrano progressi nei rapporti con la Lega. Il dialogo con il Carroccio è ripartito e Roberto Maroni ha recentemente incontrato Osvaldo Napoli, iniziando a porre le basi (e le condizioni) per il nuovo centrodestra.
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