Dai No Tav ai balordi Se l'Arma diventa una vittima eccellente

La pericolosa escalation: troppo spesso i carabinieri colpevoli a prescindere

Dai No Tav ai balordi Se l'Arma diventa una vittima eccellente

Fedeli nei secoli, a costo della vita. Una vita che capita di veder volare via a colpi di fucile, come accaduto all'appuntato Tiziano Della Ratta, ammazzato sabato scorso come una bestia al mattatoio, da una banda di balordi dopo un colpo a una gioielleria di Marcianise, nel Casertano. Che si trasforma in un'esistenza inchiodata a una sedia a rotelle, perché questo rischia il brigadiere Giangrande abbattuto a Palazzo Chigi. Una vita messa a dura prova a ogni corteo antagonista o a ogni faccia a faccia con gli ultras da stadio urlanti la disoccupazione-ti ha dato un bel mestiere-Mestiere di merda-cara-bi-niere. La gente li mette in cima a tutte le classifiche di gradimento, i carabinieri, ma per l'opinione pubblica e i media a maggioranza, spesso diventano colpevoli a prescindere. Specie quando le danno, dopo averle prese e basta. Quest'oggi la tromba suonerà ancora il Silenzio ai funerali del militare ucciso in Campania che sarà accompagnato a spalla da quegli stessi colleghi che hanno dato la caccia agli assassini, assicurati tutti alla giustizia. Ci sarà anche, col cuore, il maresciallo Domenico Trombetta, ferito a terra ma capace comunque di rispondere al fuoco e ferire un rapinatore in fuga. Fa la spola tra Roma e Caserta il comandante generale Leonardo Gallitelli: per spronare i suoi uomini, per accarezzare vedove e familiari. L'appuntato Della Ratta lascia una giovane moglie e una creatura di dieci mesi appena. E il ricordo va a un altro appuntato, Antonio Santarelli, che proprio di questi tempi rimase vittima di un'imboscata. Fermò tre giovani diretti a un rave party. Un normale controllo: massacrarono lui, che morirà dopo un anno di coma, e pestarono a sangue chi gli era a fianco di pattuglia, Domenico Marino, trovato moribondo e senza un occhio. Uno dei responsabili, condannato all'ergastolo, è uscito dopo un solo anno dal carcere per scontare la sua pena nella comunità Exodus di don Mazzi.
Così va la vita di chi oltre ai teppisti deve difendersi da una magistratura prevenuta e dura con chi indossa una divisa. In piazza Colonna ieri più d'uno dei militari del Battaglione confessava d'aver visto e vissuto di tutto in vita sua: teste rotta per uno sgombero, labbra spaccate, mani e gambe sfasciate per contenere incidenti e cariche. Le statistiche dell'Arma sui feriti in servizio danno una pessima immagine di un Paese che permette ciò che altrove è impensabile: a migliaia escono malconci dagli scontri allo stadio o dalle aggressioni No Tav in Val di Susa, sbeffeggiati da nuovi eroi che in un video cult su YouTube danno della «pecorella» a un carabiniere, perché sta fermo e non reagisce alle provocazioni ravvicinate, dicendosi curioso di «vederlo sparare». E nessuno invita alla mobilitazione, presenta interrogazioni parlamentari, dedica una sala del Parlamento, al maresciallo fiorentino col femore spappolato da una pallottola per sedare una rissa fra immigrati, ai sette militari che da Messina ad Arezzo passando per Cagliari e Potenza, si sono ritrovati all'ospedale per mano di criminali comuni. Certo, ci sono poi quelli che la vita se la vedono distrutta un pezzettino alla volta, accusati d'ogni nefandezza nonostante una sentenza di assoluzione. E sono tanti, troppi. Il più noto al mondo si chiama Mario Placanica, che per difendersi dall'assalto alla camionetta in piazza Alimonda al G8 di Genova, uccise Carlo Giuliani. Ma la gogna sull'Arma passa anche per i livelli più alti, per i cosiddetti «eccellenti» della trattativa Stato-Mafia, da Mario Mori a Mauro Obinu per finire all'ex capitano Ultimo o a quanti, seppur archiviati, vengono scomodati ancora per l'agenda rossa di Paolo Borsellino.

E che dire delle accuse folli al vecchio capo dei Ros, Giampaolo Ganzer. Trascinati tutti alla sbarra, massacrati sulla pubblica piazza, umiliati nell'onore di uomini e di militari. Nel 2014 i carabinieri festeggiano i 200 anni di vita, per fortuna nostra e di chi vuole loro male.

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