Cronache

Dall'alba al tramonto, quei giorni fatti di soprusi

I ragazzi costretti ad alzarsi alle 4 per lavorare nella coop agricola: mungere, pulire, etichettare i prodotti. E poi ore di "processo pubblico"

Dall'alba al tramonto, quei giorni fatti di soprusi

La giornata-tipo di un ragazzino ospite del Forteto comincia molto presto. «Tante volte mi alzavo alle quattro», ha detto M.G., arrivato in comunità a 5 anni: il padre affidatario lo portava in caseificio a etichettare lo yogurt. «La vita prima di tutto era 24 ore là dentro con lavoro, lavoro, lavoro, lavoro. C'erano un paio d'orette di lavoro prima di andare a scuola, mi avevano messo nel campo degli ovini», ha testimoniato F.B. detto «il pecoraio». «Tutti i giorni erano uguali, ti alzavi presto e andavi al lavoro. La mattina bisognava preparare la colazione per gli uomini, servire, pulire e poi anche andare a lavorare»: così ha ricordato G.V.
Metà mattina. Ha detto M.G.: «Tipo nel periodo estivo, quando finivano le scuole, tu andavi a rifare le camere dove dormiva anche Rodolfo, portavi la colazione a Rodolfo, perché lui si alzava alle 10 o alle 11, insomma lui non lavorava. Quando uno era in crisi andava a portare il caffelatte a Rodolfo». Per il pranzo ci si riuniva tutti assieme in un refettorio a self-service, ma maschi e femmine avevano tavoli separati. Spesso il pranzo segnava l'inizio del processo pubblico che poteva proseguire anche fino a notte, e ci si ingegnava. Ancora M.G.: «Ricordo che a volte tornavo da scuola, c'avevo il viso bianco e dovevo dire come mai c'avevo il viso bianco e allora ero diventato furbo, il tempo di andare in bagno e tirarsi due schiaffi per farlo un po' più colorito e tu tornavi là in sala da pranzo».
Ma non sempre capitava la fortuna di sfamarsi. «Si raccoglievano tutti le fragole la mattina - ricorda G.V. - poi ci portavano il panino a pranzo. A volte non si doveva mangiare perché magari durante la raccolta delle fragole avevamo acchitato qualcuno. Faceva un caldo boia e magari a volte ti levavi la maglietta o ti tiravi un po' su i pantaloni. Eravamo state troppo provocanti e allora non si doveva mangiare». Il pomeriggio gli scolari studiavano e gli altri lavoravano, sempre chiusi in comunità: «Si doveva rimanere lì, giocare lì, stare lì, stare con i ragazzi all'interno... Non si usciva: né feste, né compleanni organizzati, né andare a vedere uno spettacolo. A calcio non ci andavi, il calcio lo facevi lì al Forteto». Anziché restituirli al mondo, si evitava ogni contatto con l'esterno.
A cena continuavano i «chiarimenti» cui seguivano le riunioni in cui riferire tutte le «fantasie». «A tavola mi toccò inventarmi che il mio babbo mi portava a prostituirmi, ti mettono in un modo tale per farti dire le cose...». «Onestamente a volte le fantasie me le sono anche inventate, perché quando c'è da rimanere la sera a mezzanotte, l'una, le due...». «Tutte le sere si fissavano i lavori, dopodiché prendeva la parola il Fiesoli e si parlava dei problemi di rapporti, di relazioni. Il tema era monotono, sempre lo stesso: le fantasie sessuali. Si doveva parlare delle fantasie sessuali e sotto processo c'erano quasi sempre delle povere ragazzine».
SteFil


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