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Dame e servette: lanterne "russe" all'Hotel Lux

Il figlio di Luigi Longo mette a nudo la vita libertina dei "rivoluzionari" all'ombra del Cremlino

Dame e servette: lanterne "russe" all'Hotel Lux

Fosse vivo Sigmund Freud, divorerebbe le 4.000 pagine delle memorie autobiografiche di Gino Longo, per trasformarle in materiale d'analisi clinica. Perché, sul lettino dello psicanalista, c'è da far sdraiare, non solo l'autore delle suddette memorie, figlio oggi novantenne di Luigi Longo e Teresa Noce, ma l'intera famiglia dei comunisti italiani, quei «rivoluzionari di professione» della Terza Internazionale, che negli anni Venti e Trenta del Novecento, e poco oltre, si accamparono sotto le mura del Cremlino per dare vita alla più spregiudicata bohème che si possa immaginare.

Forse per la estrema licenza che si è concesso l'autore, nel descrivere i vizi segreti dei grandi capi comunisti, sta di fatto che quest'opera in 17 volumi è stata accolta con sgomento, nelle istituzioni della memoria riconducibili al vecchio Pci. All'Istituto Gramsci, depositario di una copia del testo, mi sono rivolto per sapere se fosse possibile leggerlo. Mi han fatto presente che esistono delle restrizioni alla consultazione, e che sarebbe stato necessario chiedere l'autorizzazione all'autore. Ho riportato questa semplice risposta allo stesso Longo, il quale, in mia presenza, ha così reagito: «Si comportano sempre da comunisti! Non esiste alcuna necessità di una mia preventiva autorizzazione, il materiale è liberamente consultabile da chiunque ne faccia richiesta». Chiusa parentesi.

Come si diceva, all'Hotel Lux, l'enorme albergo moscovita infestato dalle cimici che ospitava i funzionari dell'Internazionale comunista, il Comintern, prosperava una specie di Montparnasse sovietica, in un assembramento promiscuo di nazionalità, condizioni sessuali e famigliari. Gino Longo, che al Lux arrivò con i genitori nel novembre del 1932, racconta di aver svolto, in tutta tranquillità, le sue prime investigazioni sull'anatomia femminile, mentre, accompagnato dalla madre, prendeva un bagno nella grande sala comune delle abluzioni, durante il turno delle donne.

Mentre discutevano sulle prospettive della rivoluzione mondiale, gli apostoli rossi del Comintern si concedevano serate festose, senza troppe inibizioni e concessioni ai costumi del perbenismo borghese. Gino Longo, il quale tra il 1932 e il '60 visse a più riprese nell'Urss, complessivamente per quasi vent'anni, descrive in pagine dissacranti quella nomenclatura gaudente e libertina che eccitò, fin da bambino, la sua fantasia. Ritratto impagabile è quello di Ana Pauker, alias Marin, ebrea e stalinista di ferro che nel dopoguerra fu a lungo ministro degli Esteri della Repubblica popolare di Romania, fino alla sua defenestrazione, dietro l'accusa di reggere le fila di complotti sionisti. La Pauker, il cui vero nome era Hannah Rabinsohn, fu la «grande elemosiniera» del Comintern, manovratrice delle leve dei finanziamenti occulti che rispondevano allo scopo di «clonare», sul modello sovietico, i partiti comunisti nazionali. Ana Pauker era entrata nel Pc romeno fin dalla sua fondazione, nel 1921. Arrestata nel 1934, nel marzo del '41 era stata scambiata dai russi con alcuni ufficiali rumeni arrestati come spie, e aveva potuto raggiungere l'Urss.

Gino Longo conserva un ricordo vivo di questa «dama di carità», fisicamente splendida, che sapeva come consolare i suoi compagni afflitti: «Era un'amica di mia madre dai tempi della scuola leninista, che insieme avevano frequentato nel 1928. Alta, dal portamento fiero, vicina alla quarantina, con qualche filo bianco nei capelli corvini, molto sensuale, fumava molto e parlava - da rumena colta - un ottimo francese, beveva volentieri, senza ubriacarsi, e ancor più volentieri faceva all'amore con chiunque trovasse di proprio gradimento. Chiaramente, a prendere l'iniziativa era lei, mai l'altro. Più di una volta ebbi a vederla un po' su di giri e pare che al Lux la sua camera fosse abbastanza nota. A me era simpatica proprio per questo, mentre mia madre di tanto in tanto tentava di farle la predica. Ma senza molto successo: lei replicava che si vive una volta sola, e che non vedeva proprio che cosa vi potesse essere di male a far contenti se stessi e gli altri».

Ana era sposata con l'ebreo Karl Pauker, ex parrucchiere del Teatro dell'Opera di Budapest, donnaiolo incallito, che apparteneva a quel tempo ai servizi speciali del Comintern. Aveva servito sotto l'esercito austro-ungarico, durante la Grande Guerra, ed era stato fatto prigioniero dai russi, che lo avevano deportato in quello che era ancora l'impero zarista. Dopo la rivoluzione d'ottobre, si era iscritto al Partito bolscevico e, nel 1924, era entrato nella Ceka sovietica, chiamato a far parte della scorta personale di Stalin. In seguito agente dell'Nkvd, la polizia segreta, prese parte attiva alle purghe, comprese le esecuzioni di Zinoviev e Kamenev. Ma nell'agosto del 1937 fu a sua volta arrestato e assassinato senza processo.

Che i costumi sessuali, al Lux, fossero improntati alla massima disinvoltura, è confermato da molta parte della narrazione di Longo. Negli annali comunisti, si narra uno scandalo erotico di cui rimase vittima Romolino Lovera, al secolo Luigi Amadesi. Questi, romagnolo di Imola, piccoletto, tubercolotico e claudicante, era stato segretario della Gioventù comunista, e, all'incirca dalla metà degli anni Trenta, fu a Mosca, negli organi esecutivi del Comintern. Aveva sposato una russa, Olga. Racconta Longo: «Belloccia, un vitino da vespa, con un caratterino che ti raccomando, e piuttosto leggera. Le piaceva bere, ballare, divertirsi, civettare e mettersi in mostra». Un giorno, pretese che il marito le comprasse un vestitino nuovo. Al rifiuto di Amadesi, lei lo piantò e si trasferì, sempre al Lux, qualche camera più in là. Divenendo l'amante di Jacopo, alias Giuseppe Berti, un importante dirigente del Pci di cui Gino Longo ci offre questa descrizione che è tutta un programma: «Alto, spalle larghe e ricurve, un po' ingobbito, col naso adunco e la labbra carnose un po' tumefatte, alla Arafat». Quanto poi alle qualità morali, non c'è che restare sconcertati: «Intelligente, infido e sensuale», «subdolo», «opportunista nato, come lo definiva mia madre».

Altra vicenda da feuilleton, è quella della «cattura» di Giovanni Germanetto, da parte di una donna russa. Scapolo impenitente, classe 1885, barbiere, aveva un piede deforme che lo rendeva zoppo. Quadro comunista fin dal 1921, fece il suo primo viaggio a Mosca nel 1922, poi, due anni dopo, vi tornò a rappresentare la Confederazione generale del Lavoro nell'Internazionale sindacale rossa. Dalla fine degli anni Venti, si stabilì nell'Urss, quale dirigente del Soccorso Rosso. Scrisse Memorie di un barbiere, tradotto in 23 lingue, che ottenne un grande successo. L'edizione italiana, uscita postuma nel 1962, venne censurata dal Pci, nelle parti che riconoscevano le capacità politiche di Amadeo Bordiga.

La stanza di Germanetto era considerata dai comunisti italiani che vivevano a Mosca un'oasi di divertimento. Aggiunge Longo: «Nel suo letto passò, come molte altre prima, anche la ragazza delle pulizie ai piani dell'albergo dove viveva, il Sojuznaja. Rimase incinta, e Germanetto le allungò, come d'uso, la somma necessaria per abortire». Solo che lei preferì tenersi la bimba che aveva in grembo.

(3.Continua)

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