D'Amico, "vittima" di De Magistris si sottoppose al suicidio assistito. Ma l'autopsia: "Non era malato"

Era pg di Catanzaro, fu prosciolto dalle accuse di Giggino ma non si è più ripreso. Si è fatto praticare la dolce morte a Basilea. Ma l'autopsia rivela: "Non era malato"

D'Amico, "vittima" di De Magistris si sottoppose al suicidio assistito. Ma l'autopsia: "Non era malato"

Non era malato. La notizia arriva tardi, troppo tardi. Perché Pietro D’Amico, magistrato 62enne finito anni fa nel tritacarne giudiziario di Luigi De Magistris, adesso è morto. Aveva deciso di farla finita perché, diceva, affetto da un male incurabile: andò in Svizzera per farsi strappar via la vita. Suicidio assistito, appunto. L'autopsia effettuata in questi giorni ha dimostrato che D'Amico non era affatto malato. Un errore grossolano dei medici? Oppure una vittima della malagiustizia? Impossibile dirlo. È, comunque, troppo tardi per tornare indietro.

D'Amico, dal 1995 sostituto procuratore generale della Procura di Catanzaro, aveva scelto il suicidio assistito nell’aprile scorso. Per farla finita una voltra per tutte si era affidato a una clinica di Basilea. Oggi però l’autopsia chiesta alla magistratura svizzera dalla figlia e dalla moglie del magistrato ha escluso perentoriamente l’esistenza di quella grave e incurabile patologia dichiarata da alcuni medici italiani e asseverata da alcuni medici svizzeri e che ha spinto il giudice a chiedere il suicidio assistito. I nuovi e sofisticati esami di laboratorio sui reperti prelevati dal corpo del magistrato sono stati effettuati dall’Istituto di Medicina legale dell’Università di Basilea che ha eseguito gli esami alla presenza del perito di parte della figlia e della moglie del magistrato. L’errore scientifico che ha portato a conseguenze fatali potrebbe ora spingere la magistratura italiana e quella svizzera ad accertare se i sanitari italiani, autori dell’errata diagnosi, siano responsabili per errore medico dovuto ad imperizia, negligenza ed imprudenza. Il legale della famiglia, l’avvocato Michele Roccisano, sostiene infatti che per accertare l’esistenza della patologia di specie, i medici "avrebbero dovuto sottoporre il paziente ad esami strumentali specifici prescritti dalla scienza medica, esami a cui il magistrato Pietro D’Amico non fu però mai sottoposto".

In realtà dietro a quel suicidio assistito potrebbe esserci molto di più. Dietro alla storia di D'Amico, però, ci sono altre ombre che probabilmente non saranno mai chiarite. La sua carriera da magistrato fu inevitabilmente segnata da una delle innumerevoli (e fallimentari) inchieste-spettacolo di Luigi De Magistris, ai tempi in cui vestiva la toga di pm d'assalto in Calabria e dava la caccia ai fantasmi dei poteri forti. D'Amico fu, infatti, indagato - per poi essere prosciolto - per una storia partorita da quel mostro giudiziario che va sotto il nome di "Poseidone". Rimasto imbrigliato nella rete a strascico lanciata dall'attuale sindaco di Napoli e dal suo consulente Gioacchino Genchi, decise di lasciare la toga. "Questa magistratura non mi merita", aveva confidato ai suoi. Diceva di essere affetto da un male incurabile.

In questo modo ottenne il via libera al suicidio assistito. Il fratello venne a saperlo solo a cose fatte. In molti avevano dubitato della veridicità della malattia. Adesso l'autopsia ha dimostrato che era sano.

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