Le dimissioni di massa del Pdl: "Ora il Colle conceda la grazia"

I parlamentari hanno rimesso il mandato ai capigruppo ma Lupi e Quagliarello frenano. Dai sondaggi emerge la riscossa del partito e la crescita della popolarità di Berlusconi

Roma - I ministri pronti a dimettersi dal governo. I parlamentari che hanno già consegnato ai capigruppo Renato Schifani (Senato) e Renato Brunetta (Camera) i loro mandati, mandati che i due già nei prossimi giorni (forse già domani, quando Napolitano sarà tornato dalle vacanze) piazzeranno sul tavolo del presidente della Repubblica per chiedergli la grazia. Ovvero «quello che ti spetta - dice il presidente dei senatori del Pdl, rivolgendosi direttamente al Cav - per la tua storia, per quello che hai fatto per il Paese, per ottenere da Napolitano il ripristino dello stato di democrazia che questa sentenza ha alterato». Una mossa forte, ma niente panico: «La disponibilità è un gesto significativo e importante ma non significa dimissioni. Stiamo dimostrando il massimo di senso di responsabilità, il lavoro del Parlamento come quello del governo non si sono interrotti e stanno andando avanti», spiega Schifani. Una cautela sposata anche da Gaetano Quagliariello, ministro delle Riforme: «Dimissioni? Berlusconi ci ha detto: prima di tutto vengono gli interessi del Paese, nessuna scelta affrettata». E l'altro ministro Maurizio Lupi, titolare delle Infrastrutture, si iscrive al club dei pompieri: «Non prenderemo nessuna decisione affrettata. Io sto a quello che ci ha chiesto lo stesso presidente Berlusconi: prima di tutto va tutelato l'interesse del Paese. Quello che noi diciamo al Pd e a tutti è: difenderemo la nostra storia e la nostra diginità a cui non ci può essere richiesto di rinunciare».
Ma è grazia la parola magica. Che tecnicamente può essere chiesta solo su domanda del condannato, di un suo prossimo congiunto, dal tutore o da un avvocato. Particolare che ambienti vicini al Quirinale lasciano filtrare in serata. Ma in fondo poco importa: il capo dello Stato può procedere anche d'ufficio alla grazia e quindi la visita del duo Brunetta-Schifani va vista non come una richiesta ufficiale ma come strumento di pressione. «Noi abbiamo una sola idea sul modo in cui Napolitano può intervenire, anche se mi fa un certo effetto associare quella parola a Silvio Berlusconi», trema di emozione Daniela Santanchè.
«Se alla nostra richiesta di grazia non ci fosse una risposta positiva, tutti sappiamo quello che occorre fare: difenderemo la democrazia nel nostro Paese», ringhia Brunetta. «Se c'è da difendere i nostri ideali e la storia di tutti noi e la storia del presidente coincide con la nostra, siamo pronti alle dimissioni a partire dai ministri del governo», conferma il vice di Enrico Letta Angelino Alfano, che a Palazzo Chigi è l'esponente del Pdl più in vista.
L'esercito del Pdl, dai generali a soldati semplici, va alla guerra per il suo leader sotto attacco e non esiterà a scansar poltrone pur di restituire al proprio leader la dignità che merita. Gli «on» e i «sen» del Pdl sono convocati nei gruppi dell Camera nel tardo pomeriggio di ieri e si presentano numerosi e compatti. Esorcizzano lo choc accogliendo il loro leader con un applauso che i testimoni raccontano lunghissimo e con cori da stadio: «Silvio! Silvio!».
Parte da qui la riscossa del Pdl, dai colonnelli al popolo la cui fede nel leader non è stata minimamente intaccata dalla sentenza della Corte di Cassazione di giovedì sera: secondo un sondaggio condotto da Swg per conto di Agorà, la trasmissione di Rai3 (quindi non certo un committente benevolo con il Cav), la popolarità di Berlusconi è salita in una settimana dal 22 al 28 per cento. E il segno si vede anche nelle intenzioni di voto. Se si andasse al voto oggi il Pdl sarebbe nettamente il primo partito, con il 28,3 per cento contro il 27 di soli sette giorni fa. Quasi quattro punti in più del Pd, pur salito dal 23,5 al 24,7.

Più ampio il divario tra i due schieramenti: il centrodestra è dato attualmente al 37,8 per cento (due settimane fa al 35,7) e il centrosinistra al 32,3. Interessante anche il dato sul futuro del Pdl: per il 27 per cento degli interpellati il partito non ha orizzonte senza il suo leader storico.

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