MilanoDopo venti giorni, Alessandro Sallusti torna uomo libero alle otto di ieri sera: ma il caso di un direttore di giornale condannato al carcere non si chiude, e anzi prende nuova forza dalle modalità inattese con cui si chiude la vicenda giudiziaria. Il presidente della Repubblica firma nel primo pomeriggio il decreto che cancella la condanna a quattordici mesi di carcere inflitta a Sallusti dalla Cassazione, e che da sabato 1 dicembre teneva il giornalista agli arresti domiciliari. Appena il ministero della Giustizia trasmette a Milano il decreto di Napolitano, il procuratore Edmondo Bruti Liberati revoca il provvedimento dell'esecuzione della pena. Non è una grazia, quella concessa a Sallusti, non è un atto di clemenza. È qualcosa di meno, ma anche qualcosa di più. Commutando la pena, come prevede la Costituzione, e sostituendo il carcere con quindicimila euro di multa, Napolitano dice in sostanza che punire con la galera un reato di stampa non è ammissibile. È, in fondo, quello che Sallusti aveva detto dal primo giorno della sua battaglia.
La soluzione prende forma quasi all'improvviso, dopo la brusca accelerazione di giovedì, quando il Quirinale aveva aperto - su richiesta di un lungo elenco di deputati - l'iter della domanda di grazia. Sulla ipotesi di un atto di clemenza era piovuta di prima mattina una doccia ghiacciata: il parere negativo del procuratore generale di Milano, Manlio Minale, che - richiesto di esprimersi dal Colle - si era detto contrario alla grazia senza mezzi termini. Un parere non vincolante, quello di Minale, ma che rischiava di condizionare l'andamento della pratica. Ma subito dopo il no del procuratore, era arrivato un parere diverso. Il giudice di sorveglianza Guido Brambilla, lo stesso che - tra più di una polemica - aveva concesso a Sallusti il beneficio non richiesto degli arresti domiciliari, indica la strada: non grazia ma «commutazione della pena», una facoltà del Capo dello Stato prevista in un articolo della Costituzione ignoto a molti. Il ministro della Giustizia Paola Severino, sul cui tavolo arrivano i due pareri discordanti, non ha esitazioni, e fa propria l'ipotesi della commutazione avanzata da Brambilla. Ed è con questa indicazione che il fascicolo ritorna all'ora di pranzo al Quirinale.
Poco dopo le 17 Napolitano firma il decreto. Il tempo di transitare sulla scrivania del ministro Severino, che lo controfirma. Il decreto è asciutto: «Il presidente della Repubblica decreta: a Sallusti Alessandro è concessa la commutazione della pena detentiva ancora da espiare. Il beneficio è revocato d'ufficio nei confronti del condannato che riporti pena detentiva per delitto commesso entro cinque anni dalla data del presente decreto». Alle 18,26 il fax parte per la Procura di Milano. Si chiude così anche formalmente il cerchio che fin dall'inizio della vicenda, il 26 settembre - quando la Cassazione aveva confermato la condanna emessa dalla Corte d'appello di Milano a quattordici mesi senza la condizionale - aveva visto il Quirinale e i vertici della Procura di Milano lavorare d'intesa per un esito non traumatico della vicenda. Per questo la Procura aveva scelto di non forzare i tempi dell'esecuzione della condanna, per dare tempo al Parlamento di varare una legge che modificasse le sanzioni; e poi, quando si è capito che la politica si era impantanata, nel creare le condizioni per un provvedimento del Colle che andasse aldilà della sentenza della Cassazione. Di questo percorso fa parte anche l'ostinazione con cui - sfidando il parere contrario dei suoi pm e un diluvio di critiche dai colleghi di tutta Italia - Bruti aveva proposto d'ufficio per Sallusti il beneficio dei domiciliari.
Alle 20, la polizia consegna il decreto a Sallusti nella casa della sua compagna Daniela Santanchè.
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