Più che una conferenza stampa sembra la parata del 2 giugno. Generali e pezzi grossi della polizia, magistrati e detective. Tutti a raccontare i mille tornanti di un'inchiesta che per anni sembrava persa dentro un labirinto di parentele indecifrabili. «Le abbiamo provate tutte - spiega il pm Letizia Ruggeri - abbiamo ricostruito l'albero genealogico delle famiglia di Giuseppe Guerinoni, il padre biologico del killer, fino al 1815 se non più indietro. E' stato un lavoro faticoso, faticosissimo». E'il giorno in cui l'apparato dello Stato si mostra, anche plasticamente schierato, in tutta la sua forza: «E' lui al mille per mille», spiegano i dirigenti del Ros e dello Sco, le articolazioni di punta dell'Arma e della polizia.
Bastano 11-12 marcatori, secondo i protocolli scientifici internazionali, per attribuire ad una determinata persona quel Dna, qui i marcatori sono 21, «ma potevamo andare oltre a trenta o quaranta», aggiungono i genetisti dell'Università di Pavia. «In termini probabilistici la possibilità che Ignoto1 non sia Bossetti è una su due miliardi di miliardi di miliardi». Una formula che si può trascrivere ma oltrepassa le nostre menti. «Abbiamo dato il nome a un marziano», sintetizza il questore di Bergamo Fortunato Finolli.
Purtroppo il giro per capire chi si nascondesse dietro Ignoto 1 è stato lunghissimo. «Abbiamo esaminato - risponde il pm - qualcosa come 15 mila profili del Dna, ma saremmo andati avanti perchè avevamo 120 mila persone da controllare. Tante quante le utenze che hanno agganciato la cella di Mapello quel 26 novembre 2010. E dirò di più - riprende Ruggeri - se non avessimo trovato prima la madre, Ester Arzuffi, saremmo risaliti a Massimo Giuseppe dal fratello Fabio. Anche lui era nell'elenco dei 120 mila da controllare. Magari fra 10 anni, ma l'avremmo scovato».
Invece, quell'interminabile screening ala fine ha portato gli inquirenti fino alla mamma del killer, concepito clandestinamente fuori dal matrimonio. Lei continua a negare e anche al Corriere della sera ripete: «Non ho tradito mio marito. Massimo è suo figlio». Ma la scienza passa sulle sue dichiarazioni come un rullo compressore. E prova semmai a ricostruire la vita e le relazioni di Bossetti. Ancora, si scava per capire se il muratore avesse incrociato nei giorni precedenti Yara. «Al momento non abbiamo elementi per sostenere questa tesi», ripetono i detective. E però nell'ordinanza di custodia il gip Ezia Maccora valorizza fra gli indizi «da approfondire» la testimonianza del fratellino di Yara, sentito alla presenza di una psicologa due anni fa: «Yara aveva paura di un uomo in macchina che andava piano e la guardava male quando andava in palestra e tornava a casa percorrendo la via Morlotti». Chi indaga considera molto scivoloso questa descrizione che per certi aspetti pare profetica e per altri confusa: il personaggio descritto «aveva una barbettina come fosse appena tagliata», insomma il famoso pizzetto, e un'auto grigia, proprio come la Volvo di Bossetti, ma era «cicciottello». «Questa storia del fratellino - spiega al Giornale uno dei superpoliziotti - non ci porterà da nessuna parte». L'inchiesta prosegue e i tecnici del Ris entrano a casa Bossetti col luminol, quasi una cartolina obbligata nelle indagini tecnologiche di oggi.
Si va avanti. Ma oggi è il giorno della narrazione di una storia che finirà nei libri. «Sembrava un delitto perfetto - conclude Ruggeri - ma lui ha lasciato il suo Dna sugli slip di Yara. E da lì siamo partiti. Crediamo che si sia tagliato mentre la colpiva, probabilmente quel Dna è sangue».
Questa è anche la giornata per allungare un'ultima, durissima stoccata al ministro Angelino Alfano, il primo a dare la notizia del fermo di Bossetti «Perchè -si chiede il
procuratore Francesco Dettori -dare in pasto alla stampa una persona che ha il diritto di essere tutelata? Si doveva aspettare la pronuncia del gip. E se il gip non fosse stato d'accordo con il pm?». Per fortuna non è andata così.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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