Doppia mossa del Cavaliere: resta in campo e gela la fronda

Berlusconi non fa passi indietro nonostante le insistenze, anche interne. Letta ha anticipato a Monti l'offerta di Silvio di guidare il fronte moderato

Doppia mossa del Cavaliere: resta in campo e gela la fronda

La notizia non sta tanto in quel che dice Silvio Berlusconi ma nel come arriva a farlo. Perché nelle ventiquattr'ore che precedono la presentazione del libro di Vespa colombe e pompieri fanno letteralmente l'impossibile per disinnescare un Cavaliere che continua ad essere sul piede di guerra. La richiesta è pressante, ribadita in un pranzo a Palazzo Grazioli da Confalonieri e Letta: non ricandidarti a Palazzo Chigi, non tornare in prima linea ed evita il vertice del Ppe di Bruxelles.

Va a finire esattamente al contrario. Con Berlusconi che, seppure provando a girarci intorno per un bel po' tanto dal dribblare più volte domande esplicite, alla fine conferma di essere in campo. «In questo momento sono io il candidato premier», è la secca replica alle insistenze di chi gli chiede se farà o no un passo indietro. Ma che sia in prima linea lo si capisce anche dai toni e dai modi: dall'affondo alla magistratura fino all'evocazione dell'imminente par condicio. Passando per quella che è la chiave di volta: se in Lombardia (e quindi sul nazionale) non si trova l'accordo con la Lega allora saltano anche le altre giunte dove si governa insieme. Cioè Piemonte e Veneto. Un messaggio chiaro a Zaia e Tosi, visto che con Maroni l'intesa è già chiusa ma il Carroccio veneto continua a dirsi nettamente contrario.

Nonostante le insistenze, insomma, l'ex premier tira dritto. Anche sul fronte Ppe. A meno di clamorose sorprese, infatti, oggi parteciperà al pranzo dei leader del Partito popolare europeo a Bruxelles e «spiegherò qual è la situazione italiana». Lo ha già iniziato a fare con un giro di telefonate a diversi leader europei, dal presidente della Commissione Ue Barroso ai vertici del Ppe Martens, Lopez e Daul. E proprio il capogruppo del Ppe, racconta Berlusconi, gli avrebbe detto di essere stato «influenzato» da Mario Mauro, il capodelegazione del Pdl al Parlamento europeo che nelle ultime settimane ha più volte affondato i colpi sul Cavaliere. Critiche che l'ex premier pare non abbia preso affatto bene. «Mi ha letteralmente pregato di candidarlo alla presidenza del Parlamento europeo e l'ho fatto anche se in giro non sapevano neanche chi fosse», si è sfogato giorni fa. E ancora: «“Mauro chi?” mi rispondevano tutti e questa è la sua riconoscenza».

Ma il fastidio di Berlusconi sta anche nella convinzione che tra Bruxelles e Roma ci sia un asse, che Mauro e una parte di Cl «lavorino» d'intesa con chi nel Pdl preme per il passo indietro del Cavaliere. Quel partito nel partito che guarda a Monti come possibile leader di domani. Sono in tanti, compreso per alcuni versi lo stesso Alfano e passando per un Frattini che l'altro ieri ha lasciato intendere, statuto alla mano, che se il Pdl cambia nome c'è il rischio debba ricominciare da capo la procedura di ammissione al Ppe. Sfumature che l'ex premier coglie, anche se pubblicamente sceglie la linea della mediazione. «Non è il momento degli strappi, dobbiamo restare uniti», ripete in privato. Con una strategia che - nonostante le tante risposte fumose date ieri - appare piuttosto lucida. Candidare Monti a leader di una coalizione di centrodestra (offerta ribadita ieri da Letta con una telefonata al Professore) significa arginare di molto la fronda interna al Pdl. «Volete Monti? Pure io ma non è voluto venire», potrà rispondere da oggi Berlusconi a chi gli presenta la solita obiezione.

Un'argomentazione buona pure il pranzo di oggi con i leader del Ppe: «La stima a Monti non è in discussione, al punto che ieri gli ho pubblicamente proposto la premiership». Concetto ribadito ieri sera dal vicepresidente del Ppe Tajani durante il pre-vertice che prepara l'incontro di oggi a Bruxelles.

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