Come ha ben scritto Angelo Panebianco nel suo editoriale sul Corriere della Sera alcuni giorni fa, la magistratura è l'unico potere davvero forte esistente in Italia. Le cosiddette toghe sono spesso in contrasto fra loro, ma basta un urlo nella foresta a richiamarle all'ordine, cioè a ricompattarle in difesa della categoria eventualmente minacciata.
Una volta c'era il timor di Dio, adesso prevale il timore dei giudici. Cosicché molti politici e moltissimi giornalisti preferiscono stare dalla loro parte, cercano la loro benevolenza. Non si sa mai. Personalmente, visto quanto è successo ad Alessandro Sallusti, direttore del Giornale, e a Giorgio Mulè, direttore di Panorama, condannati a pene detentive (e senza contare altri casi recenti), confesso di essere terrorizzato di subire la stessa loro sorte e mi tremano i polsi a scrivere il presente articolo. Con la prudenza e la codardia meglio abbondare. Tuttavia gli episodi di cui si parla in queste ore sono talmente eccezionali da meritare riflessioni.
La Cassazione ha confermato la sentenza d'appello a carico di Silvio Berlusconi: quattro anni di reclusione per frode fiscale. Normale? Mica tanto, ma fingiamo che lo sia. Seguono polemiche di fuoco dei berlusconiani e salti di gioia spontanei degli antiberlusconiani che, nella circostanza, sembrano assai meno eleganti e composti di quanto credono di essere. Vabbè, sorvoliamo. Gioire delle disgrazie altrui è volgare ma umano.
Mentre infuria la battaglia, chiamiamola dialettica, sabato esce sul Giornale un'articolessa di Stefano Lorenzetto che descrive una vicenda del marzo 2009, protagonista Antonio Esposito, presidente della seconda sezione penale della Suprema Corte di Cassazione che ha incastrato definitivamente il Cavaliere. Tutto avvenne a Verona durante una cena a côté di un premio sotto l'egida del Lions club. Numerosi i convitati, tra cui l'alto magistrato, il quale - stando al racconto dettagliato steso da Lorenzetto, che sedeva al suo fianco al tavolo d'onore - conversando in scioltezza rivelò i contenuti piccanti di intercettazioni telefoniche riguardanti l'intensa attività sessuale di Berlusconi, addirittura citando i nomi di due deputate del Pdl entusiasticamente disposte a soddisfarne gli appetiti.
Pettegolezzi del genere stuzzicano la curiosità di chiunque. E infatti un altro ospite di quel raduno conviviale, un funzionario dello Stato che sedeva alla sinistra di Esposito, interpellato da Lorenzetto nei giorni scorsi ricordava perfettamente, pur a distanza di quattro anni, le generose prestazioni a favore dell'allora premier, attribuite dal giudice alle suddette deputate. Dato che le chiacchiere in libertà sono simili alle ciliegie, una tira l'altra, il presidente - ancora secondo la ricostruzione del nostro eccellente giornalista - aggiunse considerazioni poco lusinghiere sul conto del Cavaliere. Lorenzetto le ha riferite, supportato da due testimoni le cui «deposizioni» egli ha registrato sempre nei giorni scorsi, uno dei quali ha ammesso che Esposito, riferendosi al Cavaliere, anche in altre occasioni parlò di «grande corruttore» e «genio del male». Ovviamente Lorenzetto è pronto a far ascoltare le registrazioni a gentile richiesta.
Non è finita. Il giudice, forse eccitato dallo stupore dei commensali, impresse un'accelerazione ai propri sfoghi attingendo copiosamente a quelli che dovevano essere considerati segreti d'ufficio: dovendo egli di lì a 48 ore emettere il verdetto su Vanna Marchi, accusata d'aver approfittato della dabbenaggine popolare al fine di arricchirsi, ne anticipò la sostanza drammatica: sarà condannata.
Che Lorenzetto avesse capito Roma per toma? Egli però, anche per questa topica di Esposito, è confortato dal fatto d'averla già rivelata in un suo libro pubblicato nel 2011, dunque in epoca non sospetta, e dalla testimonianza registrata dell'altro commensale che con lui sedeva al fianco di Esposito.
Solo un cenno circa le questioni afferenti l'abbigliamento della toga chiacchierina, che Lorenzetto aveva messo fra parentesi in quel suo libro giudicandole pittoresche ma irrilevanti e sulle quali è in corso un contenzioso scatenato dai giornali proni alle Procure per cercare di sviare l'attenzione dal gravissimo e sconcertante pregiudizio dimostrato dall'alto magistrato nei confronti degli imputati Berlusconi e Marchi. Stefano afferma che egli calzasse scarpe ginniche o da riposo bianche, l'interessato viceversa giura di non averne mai possedute di simili. È un dettaglio a questo punto davvero trascurabile? Disquisire di calzature sarebbe riduttivo se ciò non contribuisse a incrementare dubbi sulla sincerità del soggetto togato, stante il fatto che pure su questo marginale elemento egli viene smentito dalla concordante testimonianza di due persone che danno ragione al pignolissimo cronista: trattasi dell'ex prefetto di Verona e della sua consorte. Ai quali, dopo aver letto Il Giornale, si è aggiunto un noto professionista presente alla cena, che ha scritto e telefonato a Lorenzetto per confermargli di ricordare anch'egli perfettamente come Esposito fosse abbigliato nel modo descritto.
Anche uno stolto comprende che il problema non è l'abito, per quanto in determinate situazioni faccia il monaco e forse anche il bugiardo, ma tutto il resto. Da qui scaturisce un interrogativo: è lecito che un magistrato si abbandoni a confidenze attinenti al proprio ruolo di uomo di legge? Il quale pensavamo dovesse esprimere, svolgendo le sue mansioni delicate, sentenze non viziate da pregiudizi e mantenere sulle medesime un rigoroso riserbo. Perché diciamo ciò? Se Esposito aveva un'opinione negativa su Berlusconi e le sue abitudini pubbliche e private, forse non avrebbe dovuto accettare di processarlo, consapevole che ciascuno di noi, quindi anch'egli, non è sereno qualora debba decidere del destino di un cittadino che gli è antipatico e che non stima.
Non sono sfumature. Ma andiamo avanti. Il signor presidente, martedì scorso, è stato intervistato dal Mattino di Napoli, manco a dirlo sulla sentenza contro il Cavaliere. Il giornalista porge quesiti e il magistrato risponde, ma pretende di rileggere il testo finale. Accontentato. Il collega però, non essendo un micco, registra la telefonata durante la quale Esposito discetta su un punto controverso: Berlusconi non poteva non sapere che a Mediaset fregavano il fisco? La tesi del presidente è che Tizio, Caio e Sempronio avessero informato il premier (e azionista principale dell'aziendona) delle manovre truffaldine, per cui questi sapeva, eccome se sapeva (ma nelle carte del processo però non vi è traccia di ciò).
Domanda: un giudice di Cassazione è autorizzato a spiegare quali siano i cardini di un verdetto di condanna che ancora non è stato depositato? Esposito nega di aver suggerito al redattore del Mattino la chiave interpretativa della condanna stessa, ma la registrazione della telefonata dimostra il contrario e lo inchioda. Un pasticcio da cui si evince che il comportamento del presidente della Corte non è ortodosso, bensì piuttosto coerente con le stranezze denunciate per primo da Lorenzetto. Ovvio, è tutto da verificare, da approfondire non più a livello giornalistico, dov'è stato fatto il possibile con esemplare coraggio, ma nelle sedi opportune.
S'impone la necessità di fare chiarezza ossia di accertare se la condotta di Esposito sia compatibile con la carica che egli ricopre oppure se, a causa di un sortilegio (qualcosa di inspiegabile sul piano razionale), si sia creata una serie di equivoci tale da aver indotto due valenti giornalisti a prendere lucciole per lanterne. Ipotesi, quest'ultima, che, conoscendo Lorenzetto e la sua maniacale tendenza a controllare le notizie con scrupolo, sarei portato a escludere.
Ecco perché serve un'inchiesta senza veli promossa dal Consiglio superiore della magistratura, l'organo di autogoverno della categoria presieduto dal capo dello Stato, Giorgio Napolitano. E il fatto che ieri il Csm abbia annunciato l'apertura di una pratica lascia ben sperare.
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