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Duri con chi "okkupa". La libertà di protesta non è sfasciare tutto

Attenzione, caduta tabù in corso. L'ultimo ad essere precipitato lungo il dirupo del politicamente corretto è quello che riguarda le occupazioni delle scuole superiori da parte degli studenti

Duri con chi "okkupa". La libertà di protesta non è sfasciare tutto

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Attenzione, caduta tabù in corso. L'ultimo ad essere precipitato lungo il dirupo del politicamente corretto è quello che riguarda le occupazioni delle scuole superiori da parte degli studenti. Da decenni, generalmente poco prima delle vacanze natalizie, «cadono» le occupazioni; con la stessa ingegneria calendaristica e la medesima puntualità svizzera dei sindacati (ma se lo facessero in Svizzera sarebbero tutti precettati) che piazzano gli scioperi sempre il venerdì. «Cadono» perché ormai sono certe, ineluttabili e costanti come le feste comandate. E, per amor di cronaca, chi scrive, in gioventù, è stato sia studente che occupante, rigorosamente senza k. Ma a tutto c'è un limite. E questo limite lo ha tracciato qualche giorno fa Paolo Pedullà, preside del Liceo Tasso, a Roma, che ha predisposto dure sanzioni per i 170 occupanti dell'istituto: dieci giorni di sospensione, attività socialmente utili e 5 in condotta.

Niente di sconvolgente ma, nella molle arrendevolezza delle istituzioni italiane, abbastanza da farlo apparire come un preside dal pugno

di ferro e da scatenare le prevedibilissime proteste della sinistra. «La scuola non è un luogo di punizione, ma di dialogo», ha tuonato subito Angelo Bonelli.

Per fortuna a mettere un punto sul caso è arrivato il ministro dell'Istruzione Valditara che, dopo aver elogiato i provvedimenti del preside «per la fermezza dimostrata in merito alle occupazioni dell'istituto», ha ribadito un concetto tanto logico quanto rivoluzionario: «La scuola costituzionale, e dunque democratica è quella che insegna a rispettare le regole e a coniugare libertà con responsabilità». Eccolo qui, lo avete sentito il rumore? È il tabù che è caduto a terra. Perché, diciamolo una volta per tutte, le occupazioni non hanno e non hanno mai avuto nulla a che fare con la libertà d'espressione, la protesta politica e la difesa dei diritti, anzi semmai ne sottraevano uno di diritto: quello allo studio. E siamo di fronte alla solita minoranza casinista che s'impone sulla maggioranza silenziosa nel nome di proteste inesistenti. Canovaccio già visto e applicabile a ogni settore ed età. D'altronde da anni si occupa per tutto e contro tutto: dallo scioglimento dei ghiacci al patriarcato, dall'ultima riforma della scuola al sempiterno pericolo di ritorno del fascismo, passando ovviamente per la denuncia di tutti i

focolai di guerra presenti sull'orbe terracqueo. Le occupazioni sono sempre state solo occasioni ludiche, mimesi rivoluzionarie scolorite in festa di un Sessantotto che non è stato per nulla fastoso, se non nei ricordi di chi lo ha vissuto, cioè quei nostalgici che ora applicano una tolleranza ingiustificata ai propri nipotini politici. Anche quando le proteste si trasformano in vere e proprie gite di distruzione per le strutture che le ospitano (e spesso si occupa per lamentare la precarietà degli edifici che poi con le proteste stesse si contribuisce a devastare). Negli anni venti del terzo millennio l'occupazione è diventata così un rito stanco, che diverte pochi, fa incazzare molti e non risolve nulla.

Ma ora è caduto un tabù e la lezione che viene da Roma è semplice, ma fondamentale come la conoscenza della consecutio temporum: ad ogni azione corrisponde una reazione, a ogni reato segue una punizione.

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