«Noi siamo i figli di un dio minore », confessò una volta uno sconsolato Massimo D’Alema: era l’ottobre del ’98, il primo governo Prodi era appena caduto e la strada per palazzo Chigi appariva ingombra di ostacoli all’allora segretario dei Ds. Il «dio minore» era il Pci, e i suoi eredi, a dieci anni dalla caduta del Muro, continuavano ad essere percepiti come inaffidabili, inadeguati, impreparati a guidare il governo di un grande Paese.Tant’è che nel ’96,per battere Berlusconi, proprio D’Alema dovette inventarsi Prodi. D’Alema quella volta ebbe torto, perché di lì a poco sarebbe riuscito a varcare il portone di palazzo Chigi; ma aveva anche ragione, perché il problema della minorità politica della sinistra italiana, e del suo deprimente complesso di inferiorità, resta tuttora irrisolto. E a farne le spese, oggi, è prima di tutto Bersani: già ministro in quel lontano governo Prodi, il segretario del Pd si prepara da anni al grande salto ma, ogni volta che il salto s’avvicina, una nuova e più grande difficoltà si profila all’orizzonte. Se ne è accorto Stefano Menichini, fra i non molti rimasti in casa Pd a ragionare con la propria testa, che ieri suEuropa ha scritto un editoriale molto preoccupato: «Non è cambiato molto rispetto al novembre 2011: il Pd è il più forte ma troppi, fuori e dentro, non lo considerano in grado di mettersi in prima persona alla guida del Paese. Una percezione che è soprattutto un’auto-percezione, e che rischia di diventare un complesso. Anzi lo è già». La conclusione di Menichini è generosa- Bersani la smetta con l’ understatement e dichiari apertamente di essere il leader giusto per l’Italia - ma la sostanza del problema resta. Un partito con un vistoso complesso di inferiorità- nei confronti di Monti, di Repubblica ,delle procure, della Cgil, e insomma di chiunque alzi la voce - non può pretendere di vincere le elezioni, se è il primo a non crederci.
Era stato proprio D’Alema, in un’intervista rilasciata qualche giorno fa al Corriere , a far saltare le polveri, indicando in Monti una «risorsa della sinistra europea » e lasciando intravvedere la possibilità di una sua candidatura alla guida del nuovo centrosinistra. Monti ha smentito, e dunque non sarà lui il nuovo Prodi: ma al Nazareno resta pur sempre appeso il cartello «cercasi leader».In passato s’era parlato di Passera, della Fornero, persino di Montezemolo; oggi si parla insistentemente di Fabrizio Barca.
La ricerca di un candidato presentabile e «montiano» fa senz’altro leva sul «complesso del migliore » che deprime da decenni la sinistra italiana, ma ha anche un significato politico molto netto, e suona come una bocciatura della linea del segretario, se non come un suo commissariamento. I parlamentari che hanno inviato l’altro giorno al Corriere una letteraappello perché l’ «agenda Monti» orienti anche il prossimo, eventuale governo di centrosinistra, non hanno soltanto sfiduciato Bersani: hanno anche colpito al cuore la sua linea politica, spericolatamente ambigua nel tentativo di tenere insieme la Fiom e la Fornero, Vendola e Casini,il governo e l’opposizione. Se il Pd invece scegliesse una linea rigorosamente montiana, come chiedono i parlamentari dissidenti (in gran parte veltroniani), salterebbe ogni possibilità di accordo con Di Pietro e con Vendola, i due pilastri del sistema di alleanze bersaniano, i cui voti (e il dettaglio non è secondario) sono peraltro indispensabili a Bersani per vincere le primarie contro Renzi.
Già, le
primarie: che fine hanno fatto? Semplice: non si fanno perché non c’è ancora il candidato vero. Renzi potrebbe andar bene agli italiani, ma non piace al Pd. Per Bersani vale l’inverso. E allora si continua a cercare...- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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