Dimenticati? No, non possiamo dirlo. Il governo italiano si è sempre mostrato attivo nella drammatica vicenda che vede coinvolti Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due fucilieri del San Marco da venti mesi in soggiorno obbligato in India. Ma le mosse e l'azione diplomatica dei nostri leader politici si sono finora dimostrate inutili, completamente inutili. Lasciamo perdere le sciagurate decisioni, le bugie e le figuracce rimediate da Mario Monti e compagnia, non ultima quella di rimandare i nostri marò a New Delhi ben sapendo quali sarebbero state le conseguenze. Ma oggi siamo ancora qui a interrogarci su quale destino attende i due militari, dopo quasi due anni.
Quando il premier Enrico Letta si è insediato, lo scorso aprile, in molti abbiamo apprezzato il fatto che nel suo discorso in Parlamento mettesse tra le priorità la liberazione di Latorre e Girone. E poco dopo abbiamo anche digerito le rassicurazioni del ministro degli Esteri Emma Bonino, la quale chiudeva la porta a qualsiasi contenzioso internazionale con l'India affermando che i tempi per quel tipo di azione sarebbero stati troppo lunghi, mentre ciò che importava davvero era riportare a casa quanto prima i due marò. Bene, oggi possiamo dire che erano tutte parole al vento. Parole che hanno acceso la speranza di famigliari e amici di Latorre e Girone, ma che in realtà servivano solo a prendere tempo, a stemperare le polemiche, a far sì che sull'odissea dei nostri marò scivolasse un velo per tenerla lontana dall'opinione pubblica. Non fosse per l'India, a cui piace giocare con le vite degli altri, ci sarebbero riusciti. Essì, l'India ogni tanto ripiomba pesantemente d'attualità, com'è accaduto ieri, quando la Nia, l'antiterrorismo indiano, ha presentato il suo rapporto di chiusura indagini sul caso marò al ministero dell'Interno. Gli investigatori chiedono di perseguire Latorre e Girone in base a una legge (il Sue Act sulla pirateria marittima) che prevede la condanna capitale. Non è uno scherzo. Naturalmente è scoppiato il putiferio, che ha costretto pure il ministro Bonino ad affermare con sicumera che «la pena di morte è stata ufficialmente esclusa».
È davvero così? Non proprio. È vero che il ministero degli Esteri indiano, a nome del governo, si è formalmente impegnato a non applicare la pena capitale. Ma il ministero dell'Interno non è dello stesso parere e, in ogni caso, l'ultima parola spetta al Procuratore generale, che dovrà decidere con quale imputazione andranno a processo i due militari italiani. E questo il ministro Bonino lo sa bene. Come pure conosce la situazione politica indiana e quanto lunghi potrebbero essere i tempi della giustizia visto che a primavera il Paese andrà a elezioni generali. Tutti sanno, compresa la Bonino, che il leader nazionalista indù è in testa nei sondaggi e potrebbe uscire vincitore dalle urne. E che cosa proclama ad alta voce assieme ai suoi seguaci? Che serve il pugno di ferro per i nostri marò.
Non abbiamo la sfera di cristallo e neppure desideriamo sembrare dei ciarlatani, ma sapendo quanto la magistratura indiana sia contigua alla politica, ci dica, cara ministro Bonino, quale giudice vorrà apparire clemente nell'emettere una sentenza in piena campagna elettorale? Sempre che il processo abbia termine entro i primi di maggio perché a giudicare Latorre e Girone potrebbe essere un magistrato «prudente», che attende invece l'esito delle elezioni prima di pronunciarsi. In ogni caso, nessuno si aspetti un clima di favore.
La pena di morte? No, sarebbe impensabile. Ma ciò non toglie che si doveva evitare di giungere a questo punto.
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