Il calcio, la mafia, il Guatemala. Manca solo la foto di gruppo col bravissimo cronista del Fatto quotidiano che, beato lui, ha offerto ieri ai suoi lettori una ricostruzione dettagliatissima del faccia a faccia avvenuto nella capitale fra Silvio Berlusconi e i pm di Palermo. La storia è quella della presunta estorsione che Marcello Dell'Utri avrebbe realizzato ai danni dell'amico di una vita. Una valanga di soldi, la villa sul lago di Como e altro ancora per non tirarlo giù raccontando del gorgo dei rapporti limacciosi con i boss e i picciotti. Come si vede, siamo in uno dei tanti segmenti che compongono quell'unica inchiesta monstre che è iniziata una ventina d'anni fa e non è mai finita, perché i pm di Palermo continuano a scandagliare, prima con sistemi criminali, poi con l'indagine sulla trattativa Stato-mafia e con tutte le sue derivazioni, la biografia del Cavaliere. E quel suo presunto peccato capitale chiamato Marcello dell'Utri.
Dunque, com'è accaduto anche nel procedimento contro dell'Utri per concorso esterno, giunto a sua volta alla quarta puntata, si analizzano ossessivamente sempre gli stessi fotogrammi, partendo dalla lontana stagione degli anni '70, dello stalliere Vittorio Mangano e via elencando fatti e suggestioni ormai diventati una collezione di luoghi comuni. Ma il Fatto quotidiano non si limita a riproporre l'armamentario che tutti i giornali apparecchiano ad ogni occasione.. No, manco fosse presente, il quotidiano di Antonio Padellaro e Marco Travaglio ci consegna battute, sorsetti, notazioni della deposizione. Sbalorditivo. Panorama, che ha fatto il suo lavoro raccontando le famose telefonate fra il presidente della Repubblica e il senatore Nicola Mancino, intercettate per l'appunto dai pm di Palermo, è stato lapidato da un coro greco composto da giornalisti, pezzi delle istituzioni, magistrati. Si è detto e scritto che Panorama ha ordito un complotto, addirittura, ai danni di Giorgio Napolitano; poi che le notizie pubblicate - quei giudizi taglienti sul Cavaliere, su Di Pietro e sui pm di Palermo - erano falsi, ma nello stesso tempo la procura di Palermo ha aperto un fascicolo per fuga di notizie, dando dunque implicito valore allo scoop della nave ammiraglia del gruppo Mondadori; infine i giornalisti del settimanale, cominciando dal direttore Giorgio Mulè, sono stati messi in croce per aver vergognosamente orecchiato i contenuti dei dialoghi Mancino-Napolitano.
Passata l'indignazione, sulla ruota di Palermo è riapparso il Cavaliere, cliente fisso di quella procura. E siamo precipitai di nuovo nell'eterno colabrodo italiano.
E le parole di Berlusconi, che pure veniva sentito come teste, dunque senza i suoi avvocati, sono arrivate direttamente al giornalista e messe in pagina fra virgolette, come dopo la sbobinatura di un nastro. «Ma lo sa - ecco un brano in cui l'ex premier si rivolge al procuratore aggiunto Antonio Ingoia - che quel che dicono di lei le tv e i giornali non rende giustizia alla sua immagine? Lei oggi mi è apparso un magistrato affabile ed equilibrato. Peccato che lei abbia solo un difetto: lei tifa Inter e non Milan. Ma voi interisti vi pentirete di averci portato via Cassano. Quello ci mette poco a mettervi in subbuglio lo spogliatoio». E poi, ancora, ecco la barzelletta, naturalmente sul tema mafia, narrata dal Cavaliere e accolta dai tre pm Francesco Messineo, Antonio Ingroia e Lia Sava, con grande imbarazzo. E poi, ancora, le movimentazioni bancarie, i prestiti, l'arrivo di Mangano ad Arcore, un cult d'archivio della dietrologia berlusconiana. Altro che privacy. Altro che rispetto delle prerogative parlamentari. Altro che. Siamo alle solite. I giornalisti fanno i giornalisti e quando c'è di mezzo lui, il Caimano come lo chiama affettuosamente il Fatto, tutto va a gonfie vele.
Il complotto è svanito con tutti i suoi presunti veleni.
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